Manca solo una settimana all’apertura del 32° Campo Lavoro e la macchina organizzativa sta procedendo a pieno regime. A Rimini, Riccione, Bellaria, Cattolica si stanno già allestendo i piazzali dove confluiranno le tonnellate di materiali raccolti casa per casa. E il passaparola è iniziato anche tra collezionisti e commercianti che faranno la fila ai mercatini dell’usato, alla ricerca dell’“affare del secolo”… Nei cortili delle scuole, intanto, i volontari hanno già ultimato il ritiro delle migliaia di sacchi gialli portati dai bambini. E con la montagna di oggetti in arrivo, tornano le domande di sempre. Cos’è il Campo Lavoro? A chi appartiene? Alla conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2012 erano presenti campolavoratori, preti, insegnanti, ma anche rappresentanti delle istituzioni locali: Comune, Provincia, Hera. Tutti a sostenere, con parole diverse, la stessa esperienza. Sempre più difficile, dunque, darle una definizione a senso unico. E se decidessimo semplicemente che il Campo è un bene comune che appartiene a tutti?
Campo Lavoro: operazione di giustizia. Firmato don Aldo Fonti
Proviamo a ribaltare il mappamondo sottosopra. Proviamo a ripensare la storia, mettendoci nei panni dei vinti. Potremmo scoprire per esempio che per secoli il Sud del mondo ha sostenuto il nostro stile di vita. E che per secoli lo abbiamo depredato di beni e risorse. Con il risultato che “noi siamo diventati ricchi consumando, e loro sono rimasti poveri producendo”. Parte da questa citazione tratta dal volumetto di Andrea Baranes (“Come depredare il sud del mondo”, editore Terre di Mezzo) la riflessione di don Aldo Fonti, direttore della Missio diocesana.
Una riflessione molto poco consolatoria, come ben si conviene a un prete che in quel Sud del mondo ha vissuto trent’anni.
Lungi da me l’idea di minimizzare l’esperienza del Campo Lavoro che trovo anzi una iniziativa straordinaria della quale andare giustamente orgogliosi. Credo però che il nostro lavoro risulterà tanto più efficace quanto più prenderemo coscienza del fatto che coi nostri aiuti stiamo restituendo ai paesi poveri solo le briciole di quanto abbiamo loro sottratto in secoli di storia.
Intendi dire che la carità non basta?
Bisognerebbe sgombrare il campo da un grande equivoco. Carità non significa elemosina, anche se spesso è diffusa questa interpretazione. Nella Chiesa, carità e giustizia dovrebbero sempre andare di pari passo. Per citare una frase di Paolo VI “non può essere considerato un atto di carità ciò che è dovuto per giustizia”. E restituire ai poveri ciò che abbiamo loro sottratto è un atto di giustizia.
E, in questo senso, come vedi l’esperienza del Campo Lavoro?
Il Campo rappresenta l’inizio di un percorso che può e deve proseguire. I nostri missionari ci sono grati per l’aiuto che ricevono ma è solo un piccolo passo che non ribalta la prospettiva dei paesi dominanti, perché la storia (e anche la cronaca) continuano a scriverla i vincitori, non i vinti. Giulio Albanese, giornalista e missionario che abbiamo anche invitato al nostro corso di missiologia, ce l’ha ricordato: “Per colpa della disinformazione sappiamo poco e niente di quello che succede sul palcoscenico del mondo perché i mezzi di comunicazione accendono i riflettori dove vogliono e come vogliono. Ci hanno detto che c’è stato un terremoto ad Haiti, poi più nulla. Eppure ad Haiti la gente continua a morire…”
Quella che lanci è una provocazione forte…
La Chiesa non è sola in questo percorso e proprio l’esperienza del Campo Lavoro lo dimostra. Il mondo delle parrocchie, il mondo della scuola, le istituzioni locali che siedono insieme attorno allo stesso tavolo, impegnandosi per un obiettivo comune. Portare un aiuto immediato in situazioni di emergenza ma anche seminare, fare cultura, educare le nuove generazioni a diversi stili di vita. Questa sinergia, ormai profondamente radicata nella realtà locale, mi sembra la vera forza del Campo: un’esperienza di condivisione dove ci può e ci deve essere posto per tutti.Campo Lavoro 2012. Benvenuti al Suk