I numeri sono inequivocabili. In Italia si diventa mamma sempre più tardi, in media a 31.3 anni. A Rimini addirittura a 32.8. Ma il dato è riferito al 2007, ultimo disponibile dicono dall’ufficio statistico della Provincia. Abbiamo cercato con l’aiuto del dottor Giuseppe Battagliarin, direttore dell’UO di Ginecologia e Ostetricia dell’Infermi, di capire cosa cambia dal punto di vista medico.
Dottore, partiamo dalla domanda: fino a che età è possibile per una donna avere figli?
“Fino a quando esiste ovulazione. Il limite biologico per una gravidanza spontanea si assesta sui 44- 45 anni, dopodiché gli indici di insuccesso aumentano: nel 1° trimestre l’indice di abortività sale al 50%, questo per problemi legati all’incapacità biologica e a complicanze ormonali. Oggi il limite viene spostato in avanti dalle tecniche di inseminazione artificiale, per cui si fanno figli anche a 47-48 anni e oltre”.
A quali rischi va incontro una mamma matura?
“Dopo i 40 anni aumentano le complicanze legate all’ipertensione, al diabete mellito e al parto prematuro. Se il 15% delle donne può andare incontro a una di queste patologie, dopo i 45 tutto si amplifica. Quello che conta è l’età materna al primo parto: le donne mature, ma pluripare, hanno minori rischi perché c’è una capacità riproduttiva già esplicata”.
Quali sono, invece, le problematiche per il nascituro?
“Sono legate all’incidenza di difetti d’accrescimento, prematurità e soprattutto di anomalie cromosomiche come le trisomie. Nel caso di mamme ipertese il bambino può nascere sottopeso, sovrappeso in caso di diabete. Il rischio di complicanze nel nascituro è 2-3 volte superiore alla media, ma teniamo presente che partiamo da valori bassi, siamo sul 6% circa”.
L’aumento di parti indotti e pilotati farmacologicamente è correlato all’età ?
“Oggi un parto su 3 avviene con taglio cesareo. Certamente l’aumento di patologie incrementa il numero di parti indotti e pilotati. Ma c’è anche un altro fattore da non sottovalutare: l’incapacità della donna di accogliere un’evoluzione fisiologica della gravidanza, dovuta a ipermedicalizzazione specialmente nel caso di donne più mature. Si inizia col chiamarle primipare attempate dopo i 35 anni per poi instillare timori per eventuali anomalie del bambino, instaurare percorsi di diagnosi prenatale e prescrivere troppi accertamenti. Un approccio sbagliato perché non dobbiamo stigmatizzare la donna per l’età ma considerare ogni donna per come la pensa: quello che importa non è il numero che esprime la probabilità di avere un figlio con Sindrome di Down, ma il modo in cui la donna pensa il rischio. Tutto questo sistema toglie sicurezza e fa sì che il parto diventi una liberazione”.
Gravidanze troppo medicalizzate, quindi?
“Non dovremmo andare a caccia di patologie, ma limitare esami e accertamenti ai casi realmente necessari. Oggi si fanno più di 7 ecografie quando dovrebbero essere 3! Dovremmo lavorare più seriamente su questa fascia d’età aumentando l’autostima delle donne, mirando i controlli invece di estenderli a tappeto, evitando di lasciare alla mamma il brutto ricordo di una ricerca accanita di una possibile malattia”.
Romina Balducci