La sola memoria non basta. Ed è necessario non restare imprigionati emotivamente dalle immagini ma fare una reale percorso di conoscenza. Con questa consapevolezza, Rimini già da anni non esaurisce il Giorno della Memoria, che ricorda l’abbattimento dei cancelli di Auschwitz-Birkenau, e il Giorno del Ricordo, per le vittime delle foibe, in iniziative spot, estemporanee o riassunte in un solo giorno. E rifugge dalle semplici celebrazioni. Laura Fontana, responsabile del Progetto “Educazione alla memoria”, da anni collaboratrice del Mémorial de la Shoah di Parigi, spiega le ragioni di una tale prospettiva, all’apparenza anche provocatoria.
Laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne all’Università degli Studi di Bologna, dopo aver vissuto alcuni anni in Francia, oggi è Coordinatrice delle Attività Teatrali e Responsabile del Progetto Educazione alla Memoria. Ha progettato e curato la realizzazione di numerosi seminari di formazione sulla storia della Shoah e del Novecento, in Italia, in Israele (in collaborazione con Yad Vashem) e a Parigi (in collaborazione con il Mémorial de la Shoah), ai quali è intervenuta anche come docente.
Rimini è stato il primo comune italiano a varare, nel 1964, un Progetto della Memoria. Ora, a 48 anni di distanza, sembra voler spegnere i riflettori su una celebrazione troppo celebrativa della Shoah. Perché?
“Faccio precedere le mie considerazioni da una frase dello storico Enzo Traverso: «La Shoah gode di una visibilità tanto accecante quanto scarsa è la sua comprensione storica».
Le lezioni del passato devono essere occasione di riflessione sulle contraddizioni e sulle speranze del nostro tempo, evitando la retorica commemorativa della «celebrazione» che produce semplificazione e banalizzazione (del male). Basta con la melassa proposta da film malfatti e da immagini che rischiano di coinvolgerci solo emotivamente”.
Sembra esserci un rapporto conflittuale tra il vedere e il comprendere.
“L’attualissimo, tristissimo, esempio della Siria è esemplare: quante immagini vediamo provenienti da quel Paese martoriato? Eppure, quanto capiamo di ciò che sta accadendo per agire di conseguenza?
Se dunque il ricordo da solo non trasmette conoscenza, il tanto ricordare non equivale a conoscere. L’Italia, ad esempio, è il terzo Paese per numero di visitatori ad Auschwitz, eppure non esiste in alcun Ateneo italiano un corso universitario sui genocidi di massa”.
Basta dunque con l’ossessione commemorativa della fine dell’evento. Più che applaudire l’apertura dei cancelli di Auschwitz, vuol dire che è preferibile interrogarsi su come si è arrivati ai campi di sterminio?
“Da tre anni lavoriamo infatti sulle radici del razzismo. Il percorso intrapreso in questa stagione punta proprio sul bio-potere che si affaccia sulla scena europea nella seconda metà dell’Ottocento, quando l’uomo diventa corpo e la persona perde dunque valore, lasciando campo aperto ad esempio all’assassinio dei disabili tedeschi”.
Tutte tematiche trattate all’interno del “Progetto Memoria” istituito a Rimini, che sempre più assume i contorni di un vero e proprio corso di storia.
“Sono circa 200 i ragazzi dell’ultimo anno delle scuole superiori <+cors>(provenienti da tutti i dodici istituti della provincia, ndr)<+testo> che partecipano al progetto di educazione alla memoria. Un numero obbligato, perché non possiamo accogliere altri studenti! Con loro da ottobre a marzo e sempre in orario pomeridiano e serale, si studia, si impara ad ascoltare i documenti, si va a fondo alla questioni per cercare di capire cosa ha condotto alla tragedia della Shoah”.
Il percorso di conoscenza prosegue fino al Giorno del Ricordo e alla Giornata Mondiale contro il Razzismo.
“A raccontare la tragedia delle foibe sul confine giuliano-dalmata, venerdì 17 febbraio alle 9.30 presso il Teatro degli Atti, ci saranno due testimoni riminesi: Salvatore di Grazia e Vittorio d’Augusta. I ragazzi poi potranno incontrare a marzo un altro testimone, Lia Levi, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti. E alcuni di essi – non tutti purtroppo – concluderanno il percorso con il «Viaggio della Memoria», visitando dunque in primavera Auschwitz”.
Paolo Guiducci<7b>