Nel presepe classico della tradizione italiana c’è un personaggio che non può assolutamente mancare: lo stupìto. È un pastorello con la mano a visiera sugli occhi, posizionato su una collinetta di muschio, a debita distanza dalla capanna, che guarda incantato la scena della natività.
Nel vocabolario cristiano, alla voce stupore si trova un rimando: “vedi alla voce Natale”. È così: a Natale non ci si imbatte con un Dio che incute terrore, come un Giove perennemente incollerito, che stringe nella mano un fascio di saette fiammeggianti, pronte per l’uso. No, il primo messaggio che l’angelo rivolge ai pastori sommersi dalla luce che piove dall’alto è: “Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia”. E il segno che quel neonato è in realtà un bambino singolare (addirittura il Salvatore, Il Messia e Signore) non è una serie di effetti speciali, ma un bambino normalissimo, “avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”, né più né meno come uno dei loro bambini quando nascono: piccolo e fragile come loro, che dorme e succhia il latte come loro, che come loro ha per culla una semplicissima mangiatoia.
Passano gli anni, ma del Natale ancora non ci siamo stancati. Non è forse perché il Natale risveglia in noi sentimenti di fiducia, di mitezza, di misericordia? Certo, ma a me sembra che il motivo sia ancora più profondo: il Natale ci ricorda che di Dio non dobbiamo avere paura. Un bambino incute forse terrore a qualcuno? No, perché può guardarti solo dal basso. È chi ci guarda dall’alto in basso che ci mette paura. Ecco il mistero del Natale: Dio non è un sovrano altezzoso che ci guarda dall’alto del suo irraggiungibile piedistallo. Scende nel nostro abisso. “Per noi uomini discese dal cielo”, anzi è sceso ancora più giù di tutti noi, e ci dice: “Non abbiate paura. Io sono nato per voi. Non abbiate paura: il Padre mio vi ama”.
Noi siamo i figli amati da Dio. Non preoccupiamoci prima di tutto di quello che dobbiamo fare nei suoi confronti o nei confronti degli altri. Questo è importante, ma viene dopo. La prima cosa da fare è lasciarci afferrare da quel brivido a pelle che si chiama stupore.
È l’augurio del Vescovo: che il prossimo Natale ci faccia avvertire quel fremito di stupore, che forse da tanto tempo non abbiamo più provato.
mons. Francesco Lambiasi>7b>