Ci si dà da fare fin dal primo anno. In qualsiasi settore lavorativo. L’importante è portare a casa il gruzzolo necessario per non far pesare i propri studi sulle spalle della famiglia.
È questa una delle tante realtà della vita universitaria sia per chi l’università ha scelto di farla a casa, sia per quelli che hanno dovuto affrontare un vero e proprio trasferimento. Lavori saltuari o occasionali quelli che vanno per la maggiore durante l’inverno, mentre in estate, in molti, non fanno segreto di optare per la famosa “stagione estiva” negli alberghi della Riviera. La situazione contrattuale, poi, di certo non incoraggia: pochi contratti regolari, tanti a progetti, molti addirittura “in nero”.
Alcuni dati
Una conferma di più ampio respiro su questo fenomeno arriva dai dati della sesta indagine Eurostudent presentata a Milano dalla Fondazione Rui (Residenze Universitarie Internazionali). Realizzata tra maggio e giugno 2010 con interviste telefoniche a un campione di studenti di 26 Paesi europei (4.500 gli italiani), la ricerca rivela che il 39% degli universitari del Bel Paese studia e lavora, dato pienamente in linea con la media europea. Inoltre, il 24% degli studenti ha rinviato di almeno un anno, dopo la maturità, l’iscrizione all’università, proprio per esplorare in via preventiva il mercato del lavoro. Anche questo dato è in linea con quello di Germania, Austria e Svizzera, dove il 15% degli universitari ha ripreso gli studi dopo almeno dodici mesi di interruzione. Come dire: non solo di otium e di libri vivono oggi gli studenti universitari italiani, ma anche di lavoro.
Le testimonianze
Così come Alessandro C. di Bellaria, 21 anni, iscritto al secondo anno di Economia dell’impresa a Rimini; è entrato nel mondo del lavoro fin dall’età di 17 anni facendo il bagnino al mare e l’animatore. Poi, con l’inizio degli studi, ha scelto un’occupazione più stabile, almeno da maggio a settembre, quella del salvataggio nelle piscine degli alberghi. “Si lavora tutti i giorni per oltre otto ore al giorno ma vengono messe in regola solo quattro – racconta Alessandro – e in questi mesi non si ha modo di studiare, di preparasi per un esame o per la sessione estiva”. In pratica: “Questa scelta per chi fa l’università vuol dire rimandare di un anno la laurea”. Insomma, studiare non significa più stare a tempo pieno sui libri, ma sviluppare anche capacità di conciliazione e olio di gomito. D’inverno, poi, Alessandro “lavoricchia”, soprattutto durante il fine settimana, come “buttafuori” nelle discoteche, “almeno riesco a comprarmi i libri, ciò che mi serve e a frequentare le lezioni”. Il futuro? “Credo che la laurea triennale di oggi sia il diploma di una volta, per questo continuerò con la specialistica nella speranza di trovare un lavoro adatto”.
Lavori occasionali
Buttafuori, hostess alle fiere, bariste, baby sitter, commessi part-time sono le tipologie di lavoro occasionale preferite tra gli universitari del polo riminese e al quale dedicano in media venti ore a settimana. Secondo Eurostand questo di occupazione salturia riguarda il 23,2% del campione, contro il 16,4% che dichiara di avere un lavoro continuativo: Il carico di lavoro settimanale per gli “studenti non solo studenti” è di 47,6 ore, di cui 41,1 dedicate all’università (20,4 alle lezioni e 20,7 allo studio individuale) e 6,5 al lavoro retribuito. Lorenzo B., iscritto al terzo anno di Economia e management lavora da tre anni nell’azienda di famiglia dando una mano ogni volta che ce n’è bisogno: “Questo mi permette di comprarmi i libri e coprire le spese”, racconta. E aggiunge. “Ne conosco molti nella mia stessa situazione, oggi funziona così”. Funziona proprio così anche per Laura, iscritta al primo anno di Scienze sociali e fin da settembre alla prese come baby sitter, purtroppo, non in regola. “È l’unico lavoro che mi permette di studiare un po’ anche quando sono con il bimbo e poi resto nell’ambito di quello che sarà il mio lavoro di assistente sociale”. In questo modo ad essere sacrificato è, gioco forza, il tempo libero e non il tempo di studio. A livello europeo, con una media di 38 ore la settimana passate a lezione e su libri, l’Italia è allineata a Germania (37 ore) e Turchia (39 ore), mentre si rivela più studiosa di Francia (31 ore) e Austria (29 ore). Il sacrificio c’è, e si sente, come nel caso di Antonio F. lavoratore indomito fin dal primo anno di Economia, a Rimini. I primi due anni ha lavorato in fiera mentre quest’ultimo si è diviso tra essere postino estivo e pizzaiolo serale. “Sono contento di entrambi i lavori, sono in regola e ben retribuito”, fa sapere. “Mi piace spendere, prendermi i miei sfizi e avere due occupazione è l’unica strada”. Così tutte le sere, mette da parte libri e appunti e prende in mano acqua e farina. Ma il suo sogno nel cassetto è un altro. “Appena terminata la triennale vorrei andarmene da Rimini e continuare a studiare fuori, magari a Milano, per allargare le mie conoscenze e trovare un’occupazione mirata”. Perché in fondo, l’ambizione di trovare il lavoro “della propria vita” è, nonostante la crisi, ancora tra i primi desideri dei giovani.
Marzia Caserio