Ero giovanissimo quando partecipai a Roma, inviato dalla Diocesi ad uno dei primissimi convegni delle Caritas diocesane. Forse era il 1976. A Rimini non si era ancora costituita la Caritas diocesana secondo i nuovi orientamenti. Ne parlai con il direttore don Giovanni Nervo. Lui sorrise: “Ma voi a Rimini avete già don Oreste!”.
Erano gli anni in cui la comunità Papa Giovanni XXIII viveva il suo carisma ancora molto legata alla Diocesi ed effettivamente tanti dei valori proposti nel progetto Caritas corrispondevano all’impegno dei giovani di don Oreste: una solidarietà concreta e quotidiana, accompagnata da una forte sensibilizzazione ed educazione dell’intera comunità sui temi della giustizia, pace, servizio. L’essere voce di chi non ha voce, combattere le cause che generano l’ingiustizia, mettersi dalla parte degli ultimi. Non era difficile cogliere un’assonanza di progetto e di impegno.
E proprio su quel “buon terreno” culturale, successivamente, è nata a Rimini e si è sviluppata la Caritas diocesana, passando negli anni da un piccolo servizio di mensa ad un progetto molto ampio di carità vissuta sul territorio dalle Caritas parrocchiali e interparrocchiali, arricchito da servizi specifici nati sul fronte dei bisogni che man mano si sono manifestati. Condivisione che è diventata necessaria denuncia dei ritardi e delle adempienze anche della politica. Solidarietà intesa come giustizia. Alla “gratuità” si è così aggiunta la promozione del “diritto”.
Per debellare profonde disuguaglianze – dice la Caritas – non basta l’elemosina, occorrono puntuali strategie politiche ed economiche. Per questo è nato l’Osservatorio delle povertà, come strumento offerto a tutta la società civile e politica per capire i nuovi bisogni.
Ma risolvere i problemi della povertà non è compito di pochi specialisti, piuttosto di una comunità intera. E sensibilizzare tutta la comunità ed educarla con la pedagogia dei fatti è proprio la linea di fondo del progetto Caritas. Ciascuno secondo il suo ruolo è chiamata all’impegno. In quest’ottica il volontariato è inteso non come la soluzione dei problemi, ma come segno di un cammino cui sono chiamati tutti e per primi coloro che hanno il potere di incidere sulle cause che contribuiscono a creare emarginazione e povertà.
Per il cristiano poi la carità è segno della sua identità eucaristica. Dicevano i Padri della Chiesa: “Come puoi condividere il pane del cielo, se non condividi quello della terra?”. Il vangelo del giudizio universale di domenica scorsa mi suggeriva le parole di san Bernardo d’Aosta che su di un “ospizio” per poveri e viandanti aveva fatto scrivere il motto: “Hic Christus adoratur et pascitur”. Qui Cristo è adorato e sfamato. Preghiera e Caritas, i due polmoni della nostra fede.
Giovanni Tonelli