Dieci secondi. Visti. Rivisti. Sezionati. Moviolizzati. Investigati. Dieci, interminabili, secondi. Che in un soffio hanno fatto il giro del mondo in una domenica che per tutti resterà maledetta. Che hanno riempito televisioni, siti on line, pagine web. Dieci secondi. Giusto il tempo di vedere quella moto biancorossa uscire dall’inquadratura e ritornarci. Ma in maniera innaturale. Tutta “piegata” verso destra. Dieci secondi per vedere altre due moto arrivarle addosso. Accorgerti che c’è un casco che rotola via sull’erba di Sepang. Che in mezzo alla pista, lungo disteso, c’è un “cespuglio” di capelli. Fermo. Immobile. Inerte. Dieci secondi che ti prendono lo stomaco. Che te lo ribaltano. Che ti fanno rimanere fermo lì. Come se il tempo fosse sospeso. Dieci secondi di speranza. Di lacrime e preghiere. Dieci secondi nei quali la vita di quello che credevi un immortale si trasforma in mortale. Dieci secondi dove Marco Simoncelli se ne va. Per sempre. Almeno da questa terra. Quando in Malesia si consuma la tragedia, a casa nostra è tempo di andare a messa. Qualcuno ci va con un motivo in più: pregare per quel ragazzone sempre sorridente, con quell’intercalare che è nel Dna dei romagnoli veri, veraci. Come lo era lui. E le preghiere lo hanno accompagnato fino davanti al Signore dove siamo sicuri che super Sic si è presentato con il suo cuore pieno di amore, chiedendogli di stare vicino al suo babbo, alla sua mamma e soprattutto alla sua sorellina.
La notizia della sua morte trasforma una domenica di festa, in una domenica di dolore. Subito tv e web iniziano a parlare dell’incidente facendo vedere e rivedere quelle immagini, con quel corpo senza vita sull’asfalto malese. I network sono invasi da messaggi di ogni tipo. La piazza di Coriano inizia ad essere un piccolo-grande mausoleo. Ognuno porta qualcosa di Marco. Un capellino, una maglietta con il suo 58, un fiore, un lumino, un bamboccino. Un fiume d’amore immenso abbraccia la sua famiglia mentre sugli schermi si indugia sul volto trasfigurato dal dolore di papà Franco e su quello del suo amico di sempre, Vale Rossi. Dalle 11 di domenica, fino a giovedì sera, fino al funerale è stato un susseguirsi di attestati d’amore verso super Sic. Perché come c’era scritto su uno dei mille bigliettini lasciati nella piazza “tu eri uno di noi, uno che poteva avere e fare tutto, invece ti divertivi a giocare con i tuoi amici del paese”. E che Marco fosse amato da tutti è stato testimoniato dal minuto di un silenzio irreale che il CONI ha deciso di far rispettare su ogni campo. Applausi, lacrime e preghiere. Da ogni parte. Dal nord al sud passando per il centro e le isole. Perché Marco univa. E in questi giorni di dolore straziante la lezione più bella è arrivata da suoi genitori: Franco e Rossella. Hanno parlato del loro Marco con una dignità, con una compostezza, con una serenità che ti fanno capire perché il Sic era così. “La vita deve andare avanti, Marco ci sarà sempre. Sono sempre convinta di essere una mamma fortunata per quello che ci ha dato. Dico ai ragazzi, non piangetelo perché Marco ha fatto tutto quello che voleva e l’ha vissuto al mille per mille. Però adesso scusate, ma ho mia figlia Martina che ha bisogno di me”.
Qualsiasi parola in più, qualsiasi frase sarebbe di troppo. Addio Marco. Campione di grande umanità.
Francesco Barone