Iniziata quasi per scherzo nell’estate 2010, la raccolta dei soprannomi di Viserba e Viserbella ha superato ogni aspettativa. Si tratta di un progetto dell’associazione culturale Ippocampo (laboratorio urbano della memoria), nata per mantenere vive le caratteristiche del territorio che col tempo rischiano di essere dimenticate. Luoghi, storie, tradizioni, ricette, personaggi più o meno famosi.
Consapevoli che in Romagna quando si parla di persone e di famiglie si deve passare dai rispettivi soprannomi, i soci di Ippocampo stanno esplorando questo aspetto.
Per il momento la ricerca è circoscritta alle zone di Viserba e Viserbella.
Come s’è svolta l’indagine?
“Abbiamo invitato i nostri concittadini a raccontarci i soprannomi di famiglia chiedendo anche le motivazioni, la provenienza territoriale del casato, i mestieri dei nonni e dei bisnonni. Siamo stati presenti coi nostri elenchi al banchetto settimanale durante il mercatino estivo organizzato dal Comitato Turistico in piazza Pascoli. La gente arrivava anche con foto di famiglia e racconti, arricchendo così il nostro archivio che, in parte, stiamo mettendo a disposizione sul sito www.ippocampoviserba.it. Ma ci siamo mossi anche con mezzi più tecnologici, proponendo la ricerca su Face Book.”
Ridendo e scherzando l’elenco è arrivato a circa 300 soprannomi, molti dei quali arricchiti da notizie prese da libri di autori viserbesi o ascoltate dalla viva voce dei testimoni della memoria.
“Per ora li abbiamo semplicemente elencati in ordine alfabetico. Ma in futuro, sponsor permettendo, vorremmo ricavarne un libro, con approfondimenti e divagazioni varie.”
Ecco una carrellata veloce sui soprannomi più noti e curiosi: Baiuchèla, e’ Big, Bigiaia, e’ Bog, Brustìga, Falpòun, Fis-ciòun, Garnèla,Gramégna, la Bagécca, Marnéin, Marnòun, Mazasèt, Mòzli, e’ Péc, Pigiama, Pirc, Pirèta, Pirinèla, Ragnòun, Ras-cia blig, Runghìn, Saibadòn, Sbavàc, Scrulìn, <+cors>Spranghìn, Zanzanòun, Zuclòun.
E che dire di Bigin d’e’ Birèl? Claudicante, è stato il primo postino di Viserba. Simpatico anche è Gnéz, cioè il sarto Giuseppe Domeniconi, così chiamato per un tipico movimento delle labbra. “Raccontava barzellette ed era un bravo ballerino: in una gara ballò senza fermarsi per due giorni e due notti, stancando l’orchestra”, ricordano i suoi concittadini. Maza cris-ce (ammazza cristiani) era Nazzareno Bartolini, viserbese importato, essendo originario di San Marino. “Lo chiamavano così perché quando viveva sul Titano portava sempre una roncola per difendere dai ladri le piante di ciliegi di cui era custode”, spiega il nipote. Su Borsanìra (i De Nicolò di Viserbella) va subito detto che non ha attinenza col mercato sottobanco. Il capostipite, infatti, si chiamava Guglielmo ed aveva la borsa di tabacco sempre legata in vita, tanto usata da diventare nera. Un’abitudine che ha battezzato per sempre anche i suoi figli e che oggi individua nipoti e pronipoti.
Perché il soprannome rimane, come un’eredità che non si può rifiutare.
Stesso destino per chi firma queste righe: una Panarèta del ramo dei Muccioli proveniente dalla zona del basso Rubicone (Gambettola, Gatteo, Sala di Cesenatico, Savignano). Soprannome che probabilmente deriva dal mestiere degli avi, visto che il panarèt, come scrive Gianni Quondamatteo nel suo Dizionario Romagnolo, è un “panierino, cestello, canestro di vinco o altra fibra vegetale. Le contadine se ne servivano per portare al mercato uova e formaggio. L’ha un bèl panarèt: il sederino ben disegnato di una giovane”.
Ogni riferimento personale su quest’ultimo modo di dire è, ovviamente, puramente casuale.
Maria Cristina Muccioli
(la fiòla ad Panarèt)