Noi riminesi siamo davvero un popolo di evasori? Ufficialmente, come ovvio, gli evasori non esistono: gli uni accusano gli altri; gli altri respingono al mittente. E tutti si dicono ovviamente indignati, per dirla con un termine attuale. Ma gli evasori purtroppo esistono, e spesso danno allo stomaco. Non sto mica facendo l’indignato: mi riferisco a quell’abitudine che si può caratterizzare col gesto di dare un ammiccante colpetto di gomito al vicino, proprio sotto il torace. Mi è capitato più volte di ascoltare persone, magari pure incontrate per la prima volta, raccontarmi disinvoltamente modi e strategie per non tanto innocenti evasioni o dichiarazioni al ribasso. E mica la solita chiacchiera da bar su come farla franca con gli ispettori del canone della tv (“basta stuccare le prese dell’antenna prima che entrino in casa”; “digli che tu oggi vedi tutto su pc e i-pad e che il televisore lo tieni come soprammobile di antiquariato”). Ma si tratta di spiegazioni per filo e per segno di stratagemmi ai limiti della truffa che sarebbe meglio tenere per sé. E invece, ed è questo l’aspetto preoccupante, c’è quella specie di compiacimento per cui quasi si ha piacere a raccontarlo, dando di gomito a chi ascolta con quella strizzatina d’occhio alla “tanto noi ci capiamo, vero?”. Certo, a me ingenuo lavoratore dipendente nato ai bordi di periferia interessa sapere come va il mondo. Ma il gomito dell’evasore resta un disturbo fastidioso e, temo, difficile da guarire. Anche perché fa male soprattutto a chi non ce l’ha.