Si era fermato nel 2007 con Centochiodi. Solo apparentemente, perché il cinema non si estirpa così facilmente dall’anima di un “poeta visivo” qual è Ermanno Olmi. Così, per “ingannare il tempo” due documentari ed un corto, fino alla sua ultima opera, “ancora una e poi basta”, e speriamo che si smentisca ancora, perché Il villaggio di cartone è provocazione solida e necessaria, urgente quanto mai in questi tempi di incomprensioni verso “l’altro”,
Si inizia con un grande crocifisso staccato dalla sua sede originale, in una chiesa destinata a non essere più luogo di culto. E di crocifissi staccati negli ultimi anni ne abbiamo visti fin troppi… Il vecchio sacerdote (il magnifico Michael Lonsdale) non si rassegna e rimane, contro l’invito del sacrestano (Rutger Hauer, tornato con il maestro di Treviglio dopo La leggenda del santo bevitore) ad andarsene, in un quella chiesa abbandonata e vuota, con una piccola statuetta di una Pietà e la fede incrollabile nel cuore gonfio di tristezza.
Ma si può “svuotare” una Chiesa, si può sradicare la presenza di Cristo? A quel crocifisso divelto si sostituiscono ben presto i “crocifissi di carne”, un gruppo di sofferenti clandestini che “mettono su casa” (il “villaggio di cartone”). E ha voglia il “tutore dell’ordine” (Alessandro Haber) non ufficializzato a riportare tutto nel segno della legalità. Qui vincono la carità, la pietà, l’accoglienza, il rispetto. Qui c’è una nuova natività, un Natale di carne, ossa e sangue, un bambino che nasce in quel gruppo di poveri Cristi, rifiutati da tutto e da tutti, ma non dall’anziano uomo di Dio, che sa benissimo cosa c’è scritto nelle pagine del Vangelo.
L’artista qui è ancora più lucido, capace di far rinascere le quattro mura di un luogo apparentemente “morto”, ma in realtà più vivo che mai, ripristinato alla sua originale vocazione di “casa di Dio e degli uomini”.
Cinecittà di Paolo Pagliarani