Pausa pranzo sì? Pausa pranzo no? Il sistema del break tra un segmento di lavoro e l’altro ha preso piede anche in Italia. La soluzione importata a piè pari dai paesi del nord Europa lascia, nel Belpaese, qualche perplessità. L’idea di fondo è che si sia importato un pezzo di un intero “stile di vita” per poi declinarlo all’italiana. Infatti, se è vero che nel nord Europa la pausa pranzo è diffusissima, è altrettanto vero che in quegli stessi paesi si lascia l’impiego intorno alle 16.00. Una soluzione che permette ai lavoratori di avere tempo libero da spendere. Funzionale, quindi. Ma quanta funzionalità si nasconde nelle scelte italiane? Dipende. Le possibilità sono così diverse da settore a settore che non si possono fare valutazioni generiche: ci sono pause di due ore che spingono verso il ristorante e il pranzo completo e pause di 60 minuti che invece fanno ripiegare sul panino al bar o su altre soluzioni (vedi articolo a lato). Mentre è palese che il tessuto tutt’intorno non supporta queste scelte. Basta fare un giro nel centro di Rimini per capire che dalle 13.00 alle 15.00 pochissimi negozi sono aperti, negando la possibilità di ammortizzare in maniera proficua i tempi di chi è in pausa.
Ciò che è certo è che il settore della ristorazione fuori casa è in costante crescita. E la scelta dei prodotti da consumare indica che parte di tale crescita sia indirizzabile al pranzo fuori casa (snack, precotti, etc..). In generale lo scorso anno ogni italiano ha speso 1.100 euro per consumare un pasto fuori casa (fonte Fipe. Numeri diffusi nel corso di Sapore 2011, manifestazione che si svolge in Fiera a Rimini). Per ogni euro che viene speso per il consumo alimentare domestico si spendono 48 centesimi di euro per il consumo extradomestico. In Italia si è assistito ad una costante crescita del consumo fuori casa a partire dagli anni ’70 (+51%); 80-90 ( +23%) e dal 2000 in poi si è registrato un incremento che si attesta intorno al 5%. Cosa è successo? È successo che l’Italia è cambiata. Dal classico pranzo della domenica da condividere con la famiglia a modello di “festa” si è passati ad un’abitudine che si va consolidando a partire dagli anni ’80. In un primo momento si è trattato della manifestazione di diffuso benessere sino a diventare una necessità, oggi, con le distanze casa/lavoro che si allungano e la sintattica dell’organizzazione della macchina lavoro che cambia. Ma se alcune volte si è costretti a rimanere in giro in pausa pranzo altre volte si può scegliere di tornare a casa oppure di portarsi al lavoro il pranzo. Questione di mode? Che questo settore avesse potenzialità se n’era accorta già la Provincia di Rimini, quando nel 2006, l’allora assessore all’agricoltura e alle attività produttive, Mauro Morri, lanciava la nascita del primo “Osservatorio Nazionale sulle tendenze alimentari e sull’osservazione dei gusti”. L’idea era quella di costruire uno strumento di indagine che – per la prima volta – non arrivasse da un’azienda privata ma da un ente pubblico. La sua terzietà avrebbe fatto da garante e permesso di dare dignità scientifica ai dati raccolti. 2000 interviste a un campione rappresentativo della popolazione italiana da 15 anni in su. Ma l’esperienza non si è ripetuta benché fosse nelle intenzioni dei promotori. Rimini però continua ad essere protagonista del “food and beverage” con “Sapore: gusti, riti e tendenze 24 ore fuori casa”, la fiera, di febbraio, che sotto questo nuovo cappello nasconde storiche manifestazioni come Mia, Pianeta Birra e le più nuove dedicate a vino, olio, pesce, surgelati e altre tendenze del fuori casa.
Angela De Rubeis