In Italia una donna su 10 si ammala di tumore al seno. Ogni anno vengono diagnosticati 37mila nuovi casi. È il tumore più frequente nel sesso femminile e anche la prima causa di morte. Una malattia che fa ancora paura, ma oggi grazie alla diagnosi precoce le possibilità di guarigione sono notevoli e la mortalità è fortunatamente in calo.
L’importanza della prevenzione
Rarissima sotto i 20 anni e rara tra i 20 e i 30, l’incidenza del carcinoma della mammella aumenta a partire dai 30 anni fino a raggiungere un picco a 50-60. Il dottor Mario Nicolini, oncologo presso l’U.O. di Oncologia dell’ospedale di Cattolica, ci spiega che un aumento esponenziale della malattia si è verificato tra gli anni ’70 e ’90, in concomitanza con l’affinamento delle tecniche diagnostiche, mentre ora assistiamo a una fase di plateau che fa ben sperare. L’Italia, del resto, è un paese ad incidenza medio-alta, ma con mortalità per tumore della mammella medio-bassa.
“Nei paesi a più alto rischio sono state fatte campagne di screening per cui la mortalità tende a diminuire”.
Al contrario, i paesi con incidenza più bassa sono anche quelli con la mortalità più alta. Chiave di volta, quindi, la prevenzione: più precoce è la diagnosi, più è probabile riuscire a guarire.
“I primi studi condotti negli anni ’60 mostravano come il ricorso alla mammografia diminuisse la mortalità del 30%. Oggi lo screening la riduce del 50%”.
Fondamentale arrivare alla diagnosi prima che la donna senta da sola il nodulo al seno, per attivare al più presto i protocolli terapeutici.
Nuove prospettive per la chirurgia
L’intervento chirurgico è una tappa obbligata del protocollo terapeutico. Il dottor Antonio Manzo, medico chirurgo all’ospedale di Santarcangelo e responsabile clinico dell’Unità funzionale di Senologia dell’AUSL di Rimini, alla soglia della pensione, di casi ne ha visti tanti, così come tanti sono stati i progressi compiuti dalla chirurgia in campo senologico, resi possibili dalla prevenzione.
“Siamo in una regione fortunata dove la prevenzione c’è, anche se va migliorata: solo il 6% dei tumori viene diagnosticato grazie all’autopalpazione, quindi in una fase tardiva, condizione che al Sud tocca il 60%”.
La diagnosi precoce consente interventi chirurgici meno demolitivi e più conservativi che garantiscono la radicalità oncologica e un miglior risultato estetico. La rivoluzione comincia nel 1981 quando Umberto Veronesi introduce la quadrantectomia (asportazione di un solo quarto e non di tutta la mammella, come avveniva in passato) seguita da asportazione dei linfonodi del cavo ascellare e radioterapia. Lo stesso Veronesi nel 1997 eviterà lo svuotamento del cavo ascellare introducendo il “linfonodo sentinella”: l’analisi di un solo linfonodo ascellare consente di stabilire se è necessario asportarli tutti. Molti anche i progressi sul piano estetico.
“Oggi possiamo conservare il capezzolo in alcuni casi e la zona dell’areola ed è possibile procedere alla ricostruzione del seno, che può essere immediata, cioè durante l’intervento chirurgico, oppure in un secondo tempo servendoci di un espansore ad acqua”.
Se negli ultimi 30 anni la chirurgia ha fatto passi da gigante grazie alla prevenzione, si prevede per il futuro un ricorso sempre minore alla sala operatoria a favore di altre terapie meno invasive.
Le ultime novità in questo campo si chiamano lipofilling e IORT. Il primo è un trapianto autologo di grasso prelevato da una zona del corpo e inserito nella mammella. Garantisce ottimi risultati estetici ed evita l’inserimento di protesi. Il secondo (Radioterapia Intraoperatoria) consiste nella somministrazione di radioterapia direttamente sul tavolo operatorio: in 3 minuti ha la stessa efficacia di 25 sedute e con effetto mirato solo dove serve.
Quando il mondo crolla
Ricevere una diagnosi di carcinoma della mammella paralizza, causa dolore, ansia e in alcuni casi depressione. La dottoressa Cinzia Livi, dirigente psicologo presso l’U.O. di Chirurgia Generale e Senologica di Santarcangelo, si prende cura delle donne alle prese con l’intervento chirurgico e il percorso verso la guarigione.
“All’inizio il 70% delle donne mostra alterazioni dell’equilibrio psicofisico indipendentemente dalla gravità del caso e dal decorso post operatorio. In seguito, il disagio psicologico cambia in relazione al risultato delle terapie, al contesto famigliare e sociale, al carattere”.
Un momento esistenziale così delicato richiede attenzioni particolari che possono incidere positivamente sulla prognosi.
“La donna ha bisogno di rassicurazione, vicinanza emotiva, informazioni, comunicazione e a volte di un aiuto per ridefinire la vita quotidiana”.
È necessario un supporto psicologico sia individuale sia di gruppo: vengono organizzati incontri settimanali insieme alla psicologa e alle volontarie dell’associazione Il Punto Rosa di Santarcangelo, a cui le donne possono partecipare liberamente per condividere le loro emozioni. Questo le aiuta a sentirsi parte attiva del percorso di guarigione, che inizia sempre da un atto medico.
Ecco perché non basta lo psicologo a tamponare i bisogni emotivi, ma occorre che fin da subito il medico e gli infermieri le prendano per mano.
“La capacità del medico di entrare in relazione con la paziente è un atto medico e aiuta la terapia. Un buon impatto iniziale fondato sulla fiducia e su percezioni positive migliora l’adattamento della paziente e aumenta la compliance ai trattamenti”.
Romina Balducci