Un lungo viaggio a ritroso che parte da Rimini e tocca quattro continenti. Sempre con un unico e solo obiettivo: raccontare l’altra faccia degli immigrati ormai residenti in Italia ma che per vari motivi hanno abbandonato il loro paese di origine, le loro radici. E proprio “Radici” è il nome del progetto pensato dal reporter Davide Demichelis e realizzato con una produzione tutta riminese che ha visto impegnati in diretta sul campo gli operatori di Bottega Video, i quali in poco più di sei mesi hanno girato Africa, America Latina, Europa e Asia, registrando le storie che andranno in onda a partire dal 10 giugno, ogni venerdì alle 23,30 fino al 1 luglio. Per spiegarci meglio di cosa si tratta abbiamo intervistato il giornalista Davide Demichelis, grande viaggiatore, che proprio in questi giorni è stato a Rimini per completare il montaggio della serie.
Insomma ci dica un po’ di più di Radici, questo nuovo “format”, come l’ha definito lei…
“Radici ha alle spalle una storia tutta italiana, nel senso che l’idea risale al 2003 quando ne parlai con una mia collega… . In realtà un programma simile l’avevo già fatto nel 1997 con un’immigrata delle Filippine, quindi non si tratta di aver scoperto l’acqua calda ma con Radici la vera novità diventa il format, il linguaggio preciso di raccontare, la serie televisiva che ci conduce alla casa “madre” degli immigrati, un viaggio a ritroso nelle loro origini.
Sappiamo quanto sia difficile far passare progetti del genere, però nel 2007 l’idea è stata presentata al Ministero degli Esteri tramite il WWF e nel 2010 è stato approvata; un mese dopo, pensi, il Ministero ha tagliato i fondi del 70% quindi siamo stati abbastanza fortunati…”.
Radici racconta la storia di 4 immigrati, ormai integrati nel nostro Paese. Secondo quale logica ha scelto i protagonisti?
“Li abbiamo trovati con il lanternino nel senso che è difficile intercettare persone disposte ad aprirsi completamente, ad accoglierti nella loro casa, a raccontarsi. Si tratta di immigrati regolari, ovviamente, ed è una scelta voluta: il fenomeno dell’immigrazione in gran parte non è quello rappresentato, ahimè, in questi giorni dagli sbarchi di Lampedusa. Noi pensiamo agli immigrati come poveri, disperati ma ciò è falso e non lo dico io, ma i dati: i regolari in Italia sono 4 milioni e 563 mila cioè il 7,5% della popolazione. Negli ultimi 10 anni la loro presenza è cresciuta di 3milioni di unità. L’immigrato medio italiano non è quello di Lampedusa, o almeno non solo quello, ma si tratta di quei 4 milioni che studiano, lavorano, producono e creano l’11% del Pil e versano allo stato 11 miliardi di contributi. Però questa dimensione non va mai sui giornali, e invece noi abbiamo voluto soffermarci proprio su questo, e in particolare su Rosita della Bolivia, Magatte del Senegal, Nela della Bosnia e Mohamed del Marocco”.
Com’è stato entrare nella vita di questi protagonisti?
“Ho viaggiato molto e negli ultimi 10 anni sono stato soprattutto a contatto con gli animali. Con Radici ho ripreso in mano il documentario sociale in cui si cerca di capire come si vive lì, le differenze ecc… . La particolarità di questi viaggi è stata quella di entrare nelle case delle persone e quindi 24 ore su 24 a contatto con la realtà dell’immigrato. Ad esempio la boliviana non tornava a casa da 6 anni e quindi con noi avevamo oltre 14 valigie in un viaggio che è durato quasi 3 giorni, spostandoci con il pullman di notte, ed è proprio questo lato più scomodo che ci porta dentro le loro storie anche se ormai molti immigrati si muovono tranquillamente in aereo, tant’è che all’inizio avevo pensato al programma come a un viaggio sul noto pullman “del sole”, quello che prendono i marocchini da Torino e, dopo aver attraversato Francia e Spagna, raggiungono casa; mi sono accorto in corsa che anche io, nonostante segua il tema, avevo applicato lo stereotipo dell’immigrato che si muove ancora in pullman…”.
Immagino gli aneddoti che potrebbe raccontarmi di questi mesi trascorsi fuori…
“Ci si ritrova in situazioni rustiche. Nonostante sia stato in Africa per 20 anni mi ha fatto piacere riscoprire in Senegal una dimensione africana un po’ dimenticata: quando viaggio ho la passione per la frutta perché idrata e disseta e quindi a fine giornata, arrivati a casa di Magatte, poggiavo nel frigo il sacco di frutta. Ma il giorno dopo spariva sempre e mi sono accorto di un processo mentale che a noi occidentali non appartiene più: ovvero una volta che la frutta è in casa diventa di tutti. Le famiglie africane, poi, sono immense, in casa ci sono dalle 10 alle 30 persone, esce ed entra gente… si condivide tutto e non c’è l’idea di proprietà”.
Parliamo un po’ di lei. Ormai la sua professione appartiene a pochi sopravvissuti.
“Sì, siamo una specie in via di diminuzione. Fin da giovane ho avuto la passione per lo stare sul campo, odio la scrivania ma questa scelta l’ho fatta e la faccio a mie spese, sono un freelance e non ho mai cercato di entrare in qualche redazione. All’età di 28 anni mi sono licenziato da una società di produzione di documentari con questa idea: per tre anni faccio il freelance e mi costruisco un curriculum da proporre poi alle aziende. Da tre anni ne sono passati 17, a mio rischio e pericolo”.
Lei ha viaggiato tantissimo. C’è qualche paese che ancora non ha “spuntato” nella lista?
“In verità non mi sono mai messo a contare quanti paesi ho visitato ma a occhio e croce diciamo 70 paesi e me ne mancano molti più della metà, un giorno o l’altro mi dovrò fermare, ma per il momento ancora c’è tanto da vedere e con gli anni il viaggio si vive diversamente. Sono stato sempre un esterofilo e quando ero giovane mi appassionava ciò che era infinitamente grande e lontano da me, oggi con 45 primavere sulle spalle mi appassiona anche l’infinitamente piccolo, ciò che è vicino e dentro casa mia. Un paese in cui vorrei andare è la Cina, non ci sono mai stato ma oggi più che mai è diventata una terra importante sotto tanti profili”.
Il viaggio che non dimenticherà mai…
“Ogni viaggio ti cambia ma sicuramente non potrò mai dimenticare quello di 15 anni fa in Sudan sui monti Nuba in compagnia di un missionario in un momento storico in cui per 13 anni c’era stata la guerra: abbiamo girato una settimana, sempre e solo a piedi… un viaggio appassionate in cui capivi come tutto, nelle difficoltà, valesse doppio. Anche le isole Falkland sono un patrimonio naturalisitico fantastico: pensi, appena 3700 abitanti e un milione di pinguini, migliaia di albatros, leoni marini, orche , insomma sei circondato dagli animali e poi pochissimi turisti”.
Ha girato in lungo e in largo ma dell’Italia cosa conosce?
“È vero, sono stato un esterofilo, ma a forza di viaggi ho capito, solo in un secondo momento, che l’Italia è il paese più bello del mondo perché in un fazzoletto di terra è concetrato il meglio di natura e arte… non esiste altra terra al mondo come questa. Io sono un appassionato di montagna e l’Italia in questo senso offre degli spettacoli mozzafiato ma non dimentichiamo il mare di Sardegna, Sicilia e il cibo, ovunque ti siedi mangi benissimo”.
Ha mai pensato di trasferirsi all’estero?
“No, mai, viaggiando ho imparato che ogni mondo è paese: dalla Polinesia ai Caraibi… sì, tutto molto bello ma quando poi decidi di viverci la realtà è un’altra: i problemi ci sono ovunque e anche il paradiso può diventare un incubo da abitare. Vivere fuori, poi, sarebbe incompatibile con la mia famiglia, l’unico punto fermo grazie al quale riesco ad avere un equilibrio… non potrei senza. Sono un animale sociale e anche durante i viaggi ho sempre cercato compagnia… non riuscirei a vivere da solo, in fondo si lavora anche per vivere e non si vive per lavorare”.
Marzia Caserio