“CI SONO giornate in cui c’è un ponte che unisce terra e cielo” è una delle prime frasi che Benedetto XVI pronuncia davanti alla folla accorsa in San Pietro. E i riminesi quella giornata l’hanno vissuta. Treno, pullman e auto: 1.500 persone hanno potuto partecipare a Roma alla beatificazione di Giovanni Paolo II. E nessuno è tornato a casa deluso, ma tutti lieti e certi che “la vita ha un compito, – sono parole di don Roberto Battaglia, uno dei sacerdoti che ha accompagnato l’esodo romano dei riminesi – che questo compito non delude le aspettative di felicità del proprio, che il proprio impegno nella vita è salvato dalla compagnia di Cristo, qui ed ora”.
Il pellegrinaggio per la verità inizia in salita. Ore 23, stazione di Rimini. La carrozza in testa arriva con 33 posti, invece dei 60 previsti. Tradotto: 27 persone devono rimanere a piedi, niente beatificazione, Roma ciao ciao. Possibile? Breve conciliabolo tra gli organizzatori del treno speciale di Comunione e Liberazione e il capotreno e in pochi minuti arriva la marcia in più. Sostituita al volo la motrice con quella di un treno appena giunto da Genova, il treno parte in perfetto orario e con tutti gli effettivi a bordo: 860 persone.
Vista la lunga attesa, al viaggio su rotaia è stato aggiunto anche un pullman (60 persone) e almeno 300 persone si sono organizzate con mezzi propri. Alessandro e Monica Garattoni di Villa Verucchio fanno parte di quest’ultima categoria. All’una di notte parcheggiavano l’auto nei dintorni di Castel Sant’Angelo, ma poi si sono scontrati con un muro umano. “Impossibile muoversi. In qualche frangente abbiamo persino avuto paura. Ma la beatificazione di Giovanni Paolo II meritava questo ed altro” assicura la coppia.
Il viaggio in treno, dopo l’incidente iniziale, è filato via liscio. Undici carrozze. Enrica Savioli, la segretaria di Comunione e Liberazione che ha gestito l’operazione “treno speciale”, e don Roberto Battaglia le visitano una per una, recitano una preghiera e salutano tutti i partecipanti. C’è chi dorme (la gran parte) e chi tira tardi (pochi temerari) scambiando ricordi sul papa polacco. All’arrivo alla stazione S. Pietro, il percorso è obbligato verso via della Conciliazione. Qui i riminesi si dividono: una parte si dirige verso piazza del Risorgimento, un’altra si indirizza al Circo Massimo e un terzo gruppo approda a Castel Sant’Angelo.
Quando Roma è baciata dal sole, la temperatura è quasi estiva. “Ed io sono rimasto intabarrato in un giaccone pesante che, a causa della calca, non sono riuscito a togliere”. Simone, 15 anni, della parrocchia di Rivabella, non si fa smontare né dal caldo né dai disagi. “È stata una esperienza straordinaria: la figura di papa Wojtyla, la comunione tra le persone”. Insieme ad Assunta e a un manipolo di amici, è riuscito a varcare piazza San Pietro. “E quando ho incontrato un gruppo di seminaristi del Redemptoris Mater di Copenaghen che parlavano in spagnolo, mi son detto: c’è davvero tutta la Chiesa oggi riunita a Roma!”. Giovanni Paolo l’ha “conosciuto” di sfuggita ma adesso ne è certo: lo aspettava. Il lunedì di ritorno da Roma, mentre si recava a scuola, Simone è stato vittima di un incidente con lo scooter: per evitare un’auto che non ha praticato lo stop, Simone è rotolato a terra nell’altra corsia. Per fortuna, via Coletti in quel momento era deserta. “Giovanni Paolo II mi ha protetto”.
La palma del più piccolo della comitiva va ex aequo a Giovanni e Davide, 6 anni e tanto entusiasmo. Campeggia l’immagine di Giovanni Paolo II, colui che ha avuto il compito di importanza epocale – come ha espresso papa Benedetto XVI nell’omelia – di dare “al Cristianesimo un rinnovato orientamento al futuro, il futuro di Dio, trascendente rispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia”.
Enrica, 46 anni, è l’organizzatrice. Segretaria in un ambulatorio medico, segretaria di Comunione e Liberazione, è avvezza al servizio: la cortesia, l’ascolto, l’accompagnamento delle persone. “La comunione vissuta con i partecipanti ha superato il servizio: ci accomunava la stessa passione, lo stesso desiderio. – ammette – Organizzare un treno per mille persone non mi era mai capitato. Che sfida! E l’indicazione della Diocesi di appoggiarsi a noi per la trasferta romana è stata di ulteriore stimolo”.
Gabriele Lombardi si è sacrificato ad andare in pullman per lasciare spazio sul treno ad altre persone. Rimpianti? Nessuno. “Una giornata in cui ha dominato l’iniziativa di un Altro in tutto. Niente sarebbe accaduto oggi senza l’opera di Cristo adesso, contemporaneo qui ed ora”.
Si avvicina l’orario della S. Messa di beatificazione di Giovanni Paolo II. I pellegrini polacchi sono ovunque. La folla è immensa. Il gruppo riminese è imbottigliato, e senza l’ausilio di un maxischermo nelle vicinanze per seguire la celebrazione eucaristica. Sul volto di alcuni pellegrini si legge la delusione. Don Claudio Parma estrae il rosario e invita alla preghiera. “Non siamo qui per vedere attribuire una medaglia al valore ad un uomo, – esorta il don – ma siamo qui perché è una giornata santa, dove tutto è santo”. “Anche il posto brutto in cui siamo finiti” commenta Enrica. Più avanti, si apriranno le “porte” di piazza San Pietro, ma senza alcun merito: “siamo stati semplicemente, letteralmente portati”. Ma quelli dell’ultima fila non si sono lamentati: è bastato il lembo del mantello. Lontani ma “dentro” l’evento. Quando il papa escalama: “è un nuovo beato”, tutti indirizzano lo sguardo al volto di Giovanni Paolo II. E un sentimento pervade la folla: gratitudine.
Maria Angela Magnani, insegnante, ha 43 anni. “Lunedì ero regolarmente a scuola ma raggiante”. Non è di CL, ma l’esperienza di questo gesto di Chiesa, di tutta la Chiesa riminese, l’ha vissuto in pienezza. Un’esperienza di unità e di comune cuore di un popolo stretto intorno a Papa Benedetto e al beato Giovanni Paolo II.
Paolo Guiducci