Il rapporto Osservasalute 2010 lancia l’allarme: gli italiani sono sempre più depressi e consumano una quantità di farmaci antidepressivi in costante aumento.
Se da un lato cala il tasso di ospedalizzazione per disturbi psichici (dal 2003 al 2008 è diminuito in Italia del 5,4% per gli uomini e del 6,5% per le donne, che diventano rispettivamente 11,3% e 13,3% in Emilia Romagna, ed il ricorso all’ospedalizzazione è diminuito anche negli ultimi due anni), dall’altra aumenta drasticamente il consumo di farmaci antidepressivi e antipsicotici.
Dal 2000 al 2009 l’uso di farmaci antipsicotici è aumentato lievemente (con valori doppi nelle regioni del sud rispetto a quelle del nord), probabilmente per un aumento dell’uso di questi farmaci nei disturbi comportamentali dei pazienti affetti da demenza.
Ad aumentare tanto e con costanza, invece, è il consumo di farmaci antidepressivi: in Italia dal 2000 al 2009 è più che quadruplicato, e in Emilia Romagna è aumentato di oltre 5 volte. Se nel 2000 la nostra regione era solo 12ª in Italia per consumo di antidepressivi, nel 2009 è volata al terzo posto dietro a Liguria e Toscana.
Va detto che le regioni del centro nord hanno consumi maggiori rispetto a quelle del sud, nelle quali comunque il trend è in aumento. Si segnala, inoltre, che l’utilizzo di questi farmaci, anche per le forme depressive più lievi di ansia ed attacchi di panico, è spesso appannaggio dei medici di Medicina Generale, più che degli specialisti, con una conseguente maggior diffusione nella popolazione.
La parola allo specialista
Insieme al Dott. Pier Venanzio Bandieri, medico psichiatra presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ausl di Rimini, cerchiamo di capire qual è il trend nella popolazione riminese.
Quanto sono diffusi i disturbi depressivi nel territorio riminese?
“La Regione Emilia Romagna dice che l’1-2% della popolazione riminese maggiorenne, cioè circa 4.500 persone, sono pazienti seguiti nella provincia di Rimini per problemi mentali. Di questi, circa 3000 sono seguiti nel distretto di Rimini (comprendente tutti i comuni della zona nord della provincia) e circa 1500 a Riccione. Dei 3000 pazienti seguiti dai servizi psichiatrici riminesi, il 50-60% è affetto da depressione e l’altro 50% da psicosi e disturbi della personalità. Quindi dei circa 1500 pazienti depressi, 700 sono gravi (a volte con caratteristiche psicotiche o maniacali tali da creare situazioni di difficile gestione in famiglia e nelle relazioni fino ad arrivare a ricoveri d’urgenza) e 800 affetti da forme depressive minori o comuni come distimie, disturbo nevrotico o reattivo e disturbo dell’adattamento, che comunque ne compromettono la qualità della vita.
I dati riminesi rispecchiano quelli regionali per quanto riguarda i pazienti seguiti nei Dipartimenti di Salute Mentale e la percentuale (50- 60%) dei pazienti depressi rispetto alla totalità dei pazienti”.
Questi dati intercettano anche chi si rivolge ad uno specialista privato?
“Temo si tratti di un dato parziale, che sottostima i cosiddetti disturbi psichiatrici minori o comuni: se i casi gravi vengono intercettati dai servizi in virtù del loro carattere di pressione sociale e di urgenza, i casi minori tendono a perdersi e sono sottostimati. I pazienti meno gravi preferiscono accedere a cure private se ne hanno le possibilità economiche oppure pensano di non aver bisogno di cure. E comunque, anche se riconoscono di avere un problema, difficilmente e comprensibilmente accedono agli ambulatori del Centro di Salute Mentale, luoghi assai stigmatizzanti e che possono incutere un certo timore. Di certo, per affrontare casi di gravità intermedia, occorre un maggiore sensibilità, cui concorrono anche ambienti diversificati”.
Se molti pazienti non arrivano ai servizi psichiatrici e pochi possono permettersi uno specialista privato, che fine fanno?
“Di certo, prima o poi, entreranno in contatto con il medico di base: si stima che il 20- 25% dei pazienti di un medico di base abbia disagi psicologici, crisi esistenziali o disturbi psichiatrici, di cui gravi circa il 7-8% dei casi, intercettati, come già detto dai Servizi di Salute Mentale, altri curati in modo inappropriato altri ancora non vengono riconosciuti e rischiano di veder cronicizzare i loro disturbi. Perciò è molto importante che i medici di medicina generale, che spesso non hanno tempo o formazione sufficienti per andare oltre i sintomi, imparino invece a riconoscere e a gestire i pazienti con disturbi psichiatrici, da una parte per poterli indirizzare allo psichiatra laddove necessario, dall’altra per poterli curare loro stessi nel modo giusto. Dal 2006 io mi occupo della formazione dei medici di medicina generale. Insieme lavoriamo sui casi clinici per imparare a identificare il malessere e provare a intervenire. Questa esperienza insegna che occorre un contatto con i medici di base: solo collaborando è possibile intercettare i pazienti ammalati e trovare vie terapeutiche efficaci”.
La cooperazione, dunque, come chiave di volta del problema?
“Assolutamente sì. Riuscire a intervenire sui casi sommersi, dei quali molto spesso è compromessa la qualità della vita, è una vera e propria sfida che si può vincere solo attraverso la cooperazione. Al momento c’è già una rete di collaborazione tra la psichiatria, medici di base, associazioni di volontariato, scuole, enti ed istituti, ma andrebbe senza dubbio potenziata attraverso investimenti mirati nel settore della salute mentale. Sappiamo, infatti, che sono in rapido aumento i casi di depressione e disturbi della personalità. La malattia mentale, attualmente al secondo posto tra le cause di morbilità nel mondo (frequenza percentuale di malattia), si calcola passerà al primo posto nel 2020. È un’emergenza.”
Perché secondo lei la malattia mentale assume dimensioni sempre più preoccupanti?
“Il concetto di salute mentale è strettamente legato a quello dello stile di vita e purtroppo nella nostra società, il mondo affettivo e valoriale è alla deriva. Le famiglie vanno sempre più incontro a disgregazione e di pari passo il motore principale di questa società lo diventa il successo, l’immagine ed il potere. In questo contesto complessivo vediamo aumentare i disturbi di personalità nei giovani, che sono molto difficili da diagnosticare e che determinano quella sensazione di vuoto interiore e quella perdita di senso della vita che sfocerà in depressione, abuso di alcol o di sostanze. In questa prospettiva diminuiscono anche i legami di solidarietà, di attenzione e «cura» che investono gli anziani, i quali risentono molto della solitudine a cui spesso e volentieri sono relegati, generando gravi patologie depressive”.
Romina Balducci