“C’è l’esigenza di una direzione distrettuale antimafia a Rimini? È un tema a mio avviso da prendere in considerazione”. Piergiorgio Morosini la butta lì, di sabato sera a Rimini, in una sala degli Archi troppo piccola per ospitare la tanta gente stipata contro le pareti. L’appuntamento è quello organizzato dalla Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) gruppo di Rimini e il magistrato di Cattolica, di stanza a Palermo, rispondendo ad una domanda dal pubblico fa capire che non sia così impossibile questa possibilità. Si parla di mafia e di infiltrazione mafiosa in Romagna, si parla di Romagna Mafiosa? con il punto interrogativo in fondo. “Piano piano questo punto interrogativo si assottiglierà sempre di più”, commenta Daniele Paci, magistrato a Pesaro, intervenuto alla serata.
Una Direzione Distrettuale Antimafia a Rimini? È un fatto importantissimo, da non sottovalutare. Anche solo vagliarne la possibilità è un fatto da non sottovalutare. “Vulcano” prima e l’affaire Lady Godiva dopo (vedi box a lato) hanno fatto emergere, tra l’incredulità e lo stupore della città, una realtà più dura di quanto si potesse non solo pensare ma anche immaginare. Ma la situazione è così grave? Di certo questa non è terra di mafia ma non si possono sottovalutare certi segnali. I due magistrati ne hanno parlato a lungo, hanno fatto elenchi, raccontato storie, detto di intercettazionie e operazioni. L’atteggiamento è un po’più rilassato rispetto agli incontri che i due hanno tenuto negli anni scorsi. I magistrati sentono gli occhi su di loro ma non devono più convincere nessuno. Rimini si è convinta da sola.
Seguire i soldi
Follow the money, seguire i soldi. Lo dicevano già negli anni ’80 i magistrati americani della “Pizza Connection” e i nostri Giovanni Falcone e Giuliano Turone (magistrato, meno noto ma a lui vicino) che avevano intuito come il segreto fosse lì, nell’intercettazione del denaro. Si è a lungo parlato della Romagna come della lavanderia delle organizzazioni criminali italiane.
Dott. Morosini, ci può spiegare quanto e come si ricicla in questo territorio?
“Il pericolo di riciclaggio in questa zone è molto presente. Lo scorso dicembre parlai di un dato emerso da uno studio condotto dall’Associazione dei funzionari di polizia italiana. Quella ricerca pubblicata anche su Il Sole 24 ore diceva che a Rimini si ricicla di più che a Palermo e ad Agrigento. A Genova e a Milano si ricicla di più che a Reggio Calabria o Napoli. Era, secondo me, un dato su cui riflettere. Era una considerazione su quelle che sono le precauzioni che noi dobbiamo adottare in questa zona. Una zona, non scordiamolo che è caratterizzata da una forte presenza di sportelli bancari. (Rimini è seconda in Italia, dopo Trento, nel rapporto tra popolazione e numero di sportelli bancari presenti sul territorio, ndr).
A proposito di banche. Che ruolo e responsabilità hanno in questi casi?
“Noi in Italia abbiamo varato una legge nel 1991 per fronteggiare il problema del riciclaggio. Riguardava le banche e imponeva loro degli obblighi specifici sulla segnalazione di operazioni sospette. Ebbene, dai rapporti delle Direzioni Distrettuali Antimafia, e dalla Direzione Nazionale Antimafia emerge che in questa zona, negli anni scorsi, sono state fatte pochissime segnalazioni di operazioni sospette nonostante questa ricchezza di realtà bancarie. Mi pare una cosa alquanto strana”.
Oltre le banche chi avrebbe obblighi e responsabilità?
“Ci sono i notai che rogitano gli atti. Ci sono i commercialisti (che sono in vario modo stati coinvolti in queste due ultime operazioni sul territorio, ndr). Io affermo con forza che la risposta deve essere corale per fronteggiare questi fenomeni”.
Sono i colletti sporchi o uomini cerniera, come lei li ha chiamati questa sera?
“Sì sono loro. Una cosa che non possiamo non dire è che le infiltrazioni pesanti presenti in zona dipendono sempre dalle complicità di persone di questo territorio. Ed è un po’ quello che è accaduto nelle procure di Milano e di Reggio Calabria (quest’estate con il maxi arresto di 300 persone nelle due città, ndr). Perché le associazioni criminali devono muovere la grande mole di denaro in loro possesso. E dove la muovono? La muovono in quelle regioni che sono più attive dal punto di vista economico che in Italia sono: l’Emilia Romagna, la Liguria, la Lombardia, il Veneto, il Piemonte. Ma per svolgere questa funzione hanno bisogno di personaggi del luogo. Nell’indagine milanese è venuto fuori che c’erano delle persone delle istituzioni, forze dell’ordine, personaggi della politica e naturalmente anche imprenditori locali. Sono loro i soggetti che permettono ai criminali di entrare nel territorio e vampirizzarlo. La mafia non ci potrebbe essere se non avesse agganci con il territorio, la politica e il mondo delle libere professioni. E la stessa cosa vale pure per le nostre realtà. È per questo che è importantissima l’attenzione della politica locale, delle associazioni di categoria, dei sindacati”.
Il Dott. Paci nel corso della serata ha fatto una sorta di rassegna stampa di tutti i fatti criminali e riconducibili alla criminalità organizzata degli ultimi 15 anni. L’impressione, però è che qualcosa sia cambiato rispetto a “Vulcano”. È così?
“C’è stato, a mio avviso, un importante salto di qualità. Avevamo già informazioni che imprenditori che provenivano dal meridione d’Italia e che trasferivano la loro attività in Romagna subivano delle richieste estorsive da gruppi criminali siciliani, calabri, campani. Oggi abbiamo informazioni che riguardano gli imprenditori della nostra zona. E si tratta di vicende particolarmente cruente. Abbiamo un imprenditore che viene portato in un capannone, da quattro energumeni, dove gli viene mostrato che altri due stanno pestando un altro imprenditore locale. Questo imprenditore si sente fortemente condizionato nelle sue condotte successive e si ricorderà sicuramente il «succede così a chi si comporta male». È un imprenditore costretto a cedere delle quote societarie, che viene minacciato di morte. Gli si rivolge anche una minaccia molto più aggressiva che è quella del rapimento del figlio. Direi che sì, questo è un salto di qualità”.
È un fiume in piena il magistrato cattolichino. Non si fermerebbe mai. Ha fame di raccontare e di dire, non solo per spiegare la realtà dei cittadini ma anche per raccontare la sua, quella di chi lavora in questi scenari. Lamenta l’arretratezza degli strumenti investigativi. Lamenta la sordità dello stato italiano che non ha tradotto in legge un accordo siglato nel 1999 a Strasburgo, atto ad ammodernare una legge anticorruzione, che in Italia ha redici nel Codice Rocco (1930). “Tra palco e realtà”. Così la chiama, la politica. Una politica tra palco e realtà.
Angela De Rubeis