Nell’articolo dedicato all’Ing. Maurizio Brighenti pubblicato ne il Ponte, n. 36 del 2010 con il titolo: Il porto di Rimini tra ’700 e ’800 si legge «le opere di protezione del litorale, compiute e rifatte dal Governo Austriaco». Questa frase contiene il refuso, «Governo Austriaco» e al posto dell’“errore” ci andrebbe: «Governo dello Stato della Chiesa». Ma l’errore ha dato frutti.
La storia e le sue interpretazioni
Nel testo, Opere Inedite di Francesco Guicciardini, pubblicate per cura dei Conti Piero e Luigi Guicciardini. Barbèra, Bianchi e comp. Firenze 1857, e in particolare in Ricordi politici e civili, Francesco Guicciardini, cinquecentesco governatore di Modena e Reggio e autorevole personaggio politico, scriveva: «Non vi maravigliate che non si sappino le cose delle età passate, non quelle che si fanno nelle provincie o luoghi lontani; perché se considerate bene, non s’ha vera notizia delle presenti, non di quelle che giornalmente si fanno in una medesima città; e spesso tra ’l palazzo e la piazza è una nebbia sì folta, o un muro sì grosso, che non vi penetrando l’occhio degli uomini, tanto sa il populo di quello che fa chi governa, o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India; e però si empie facilmente il mondo di opinioni erronee e vane». Perché questi stralci di testo? Al tempo del Macchiavelli, il Guicciardini che ideò una Storia generale d’Italia «si domanda se i nostri grandi scrittori del cinquecento rimasero fedeli o no ai due principi proclamati da Cicerone: 1° di non dire nulla che non sia vero; 2° di osare dire tutto ciò che è vero» (Enrico Zanoni. La mente di Francesco Guicciardini nelle opere politiche e storiche, G. Barbèra, 1897).
L’inutile polemica
Il refuso ha provocato la polemica accesa e, a mio personalissimo parere, inutile di un lettore risentito perché, per lui, a Rimini una dominazione austriaca non c’è mai stata. Ma ne siamo certi? Vediamo perché la polemica ampliata nel web sottoforma di personale esternazione è una di quelle che Guicciardini, cinquecento anni fa chiamò «opinioni erronee e vane». Si continua sempre a negare la presenza degli Austriaci a Rimini: sbagliato! Memore del detto Nisi crediteritis non intelligetis, se non credete non capirete! vediamo cosa emerge dalle testimonianze del XIX secolo. Ai primi del ’800, chiusa la parentesi dell’occupazione napoleonica, i confini geografici del Lombardo-Veneto non impedirono agli Austriaci di scavalcare il Po a piacimento arrivando anche in Romagna. Un condizionamento militare che non incontrava resistenze al confine e che non mancò di manifestare la sua presenza. Approfondendo la ricerca iniziale emerge una discreta quantità di scritti sull’argomento. Possiamo dire che diversi testi riportano la presenza degli Austriaci in Romagna e a Rimini. Alla luce delle testimonianze storiche emerge che il territorio di confine subì le conseguenze pesanti della dominazione militare austriaca nell’alto Adriatico e che finì per condizionare negativamente l’economia costiera e portuale della bassa Romagna. Se oggi c’è chi lo ignora, in fondo non è un gran male. Me ne farò una ragione!
Basterà consigliargli di dedicarsi alla lettura per verificare la presenza dei militari austriaci dentro e fuori Rimini. Grazie ad alcuni autori dell’epoca molto noti si conferma che nella prima metà del 1800, a diverse date, gli austriaci sono presenti in Romagna, Rimini e nei territori del circondario. Sono a Pesaro e nell’entroterra di Urbino con l’esercito, e in Adriatico con le imbarcazioni militari che pattugliano lungo la costa. Seguono alcune testimonianze di autori che nel secolo XIX scrissero della presenza di austriaci in Romagna e a Rimini.
Gaetano Moroni
Il passo del Dizionario di erudizione storico ecclesiastica di Gaetano Moroni, riporta chiaramente che «di nuovo gli Austriaci occuparono Rimini e la Romagna», ritirandosi nel marzo 1815.
Gioacchino Vicini
A proposito di movimento di truppe e di Austriaci a Rimini scriveva Gioacchino Vicini in La rivoluzione dell’anno 1831 nello Stato romano (Galeati 1889, pag. 244) «Spedì a Faenza il colonnello Ragani con mezza brigata; e a Rimini, ove si sarebbe egli stesso recato con il generale Grabinski. Giuseppe Gioacchino Grabinski era venuto in Italia agli ordini del generale Giovanni Enrico Dabrowski, negli alti ranghi della Grande Armata francese. Rimasto in Italia ad occuparsi dei suoi possedimenti, nel 1831 gli fu affidato dal neo-governo delle Provincie Unite il comando delle truppe in occasione dei moti insurrezionali, senza ottenere risultati positivi (notizie storiche sul generale polacco Grabinski tratte dal sito del comune di Bologna (http://certosa.cineca.it/chiostro/persone.php?ID=481385&gallery=&img=0).
Si legge ancora dal testo sopracitato «Fatto d’armi glorioso in Rimini avvenuto il 25 marzo 1831. – Massimo d’Azzeglio loda il combattimento degl’Italiani contro gli Austriaci in Rimini. – Il Vesi ne fa un lieto augurio».
Luigi Carlo Farini
Eppure gli austriaci scorazzavano nei territori delle province di Bologna e Ferrara imponendo la presenza militare in un ampio territorio romagnolo al fine di tenere la situazione sotto controllo visto l’evolversi dei fatti.
Luigi Carlo Farini (1812-1866), nato a Russi, medico, storico, politico nella narrazione dei fatti del 1831 nel manifesto di Rimini scrisse: «Ma la Corte (il Sovrano Papa), che manifestamente osteggiava il corpo della guardia cittadina, e tutti i novatori per temperanti che fossero, non solo rifuggiva dal pensiero di dare ascolto ai reclami, ma come mill’anni fa puniva coloro che li avanzavano; e mentre adulava e lusingava i deputati e li teneva a bada con giri di parole, andava raggranellando quanti uomini d’arme potesse, e riuniva a Rimini una truppa costituita nella maggior parte di banditi e di scherani sotto il comando del cardinale Albani, al quale affidava l’incarico non di pacificare, ma di invadere e conquistare le Legazioni; non di accomodare il reggimento ai pronunciati bisogni ed alle assegnate volontà, ma d’instaurare il dispostismo in tutta la sua pienezza […] Le bande radunate dall’Albani mossero improvvisamente all’impresa in sul cominciare dell’anno 1832, e le guardie cittadine commosse all’annuncio corsero a Cesena per far fronte anche con gli inermi petti a coloro che di voglie ladre e sterminatrici già avevano fatte prove in Rimini e che dal condottiero erano spronate a violenze inaudite con la promessa dei premi temporali e spirituali. Ma gli Austriaci non lasciarono tempo e comodità alla difesa, perché entrarono nelle province di Bologna e Ferrara nel giorno stesso in cui i Papali avanzavano in quella di Forlì: onde accadde che imbaldanziti gli assalitori dalla facilità e sicurezza della vittoria, saccheggiassero Cesena e le circostanti chiese; poi giunti a Forlì facessero orrido macello di vecchi, fanciulli e femmine, mentre altri mossi da Ferrara spargevano sangue a Lugo, a Bologna ed a Ravenna; e così che cominciava di fatto la promessa Era Novella del pontificato di Gregorio XVI».
Emilio De Tipaldo
Il Professor Emilio De Tipaldo nella Biografia degli Italiani illustri, alla voce Goldoni Carlo, al settembre 1841, riporta un curioso episodio della cantata per le nozze della sorella dell’imperatrice Maria Teresa. Conclude testualmente De Tipaldo: “gli Austriaci abbandonarono Rimini”, forse perchè stanziavano in città? Non avrebbero certo dovuto abbandonare la città se oggi si dice erroneamente che non ci sono mai stati.
Luigi Scalchi
Infine c’è Luigi Scalchi che racconta la vicenda di Giuseppe Garibaldi tra Rimini, San Marino, Cesena circondato dagli Austriaci «Garibaldi dopo questa scaramuccia per la via di Sassocorbaro [Sassocorvaro, provincia di PU, sulle rive del Fiume Foglia] prese la direzione di Rimini. Cinto però da tutte le parti si gettò in S. Marino» inseguito dalla brigata del «generale maggiore Arciduca Ernesto». Fa una certa impressione immaginare il generale Giuseppe Garibaldi alla guida della cavalleria che dalle Marche attraversa la bassa Romagna inseguito dagli austriaci. I chiari riscontri non inducono a fantasiosi, inutili “punti di vista” sulla vicenda Austriaci in Romagna e a Rimini. Ma non sarà che è sbagliato affermare che una dominazione Austriaca non c’è mai stata in Romagna o a Rimini? Non c’è da stupirsi se in rete o in giro c’è una discreta quantità di improvvisati che non sanno.
Per precisare…
“Negli anni della dominazione austriaca dell’alto Adriatico” (sempre tratto dall’articolo apparso si il Ponte e sopracitato) vuol dire esattamente quanto scritto. Il quadro storico generale dell’epoca vide gli austriaci riconquistare Trieste nel 1813. Furono accentrati gli scambi commerciali, fu nuovamente instaurato il porto franco e la città alabardata prese a pieno titolo il posto di sbocco commerciale Austriaco in Adriatico. Il controllo militare via terra e via mare dal Triveneto, tornato all’Austria dopo il patto di Vienna, fu di fatto esteso oltre confine lungo le coste dell’Adriatico fino alle Marche, territori al di fuori dai confini assoggettati all’Austria. Questo si intende per “dominazione” austriaca nell’alto Adriatico. Innegabile che la pressione Austriaca fu estesa varie volte ben oltre il confine, innegabili le testimonianze scritte.
E concludo dicendo che la storia è una disciplina tra le meno esatte, spesso si affida a interpretazioni o a nuove scoperte nei documenti. È saggio diffidare della trappola della eccessiva sicurezza nelle idee personali o nei pregiudizi. Diffidiamo da chi improvvisa su questi argomenti di storia, da chi è contrario per principio e non per conoscenza, meglio scansare la iattanza di chi pretende meriti che nessuno gli ha mai dato. Anche nelle discipline umanistiche la vanagloria è una superflua ostentazione di vanità, meglio sempre confrontare. Se si pretende di sapere senza l’apertura di chi si confronta vuol dire che mala tempora currunt, per la conoscenza e non è una novità. Il vero contenuto dell’articolo suddetto rimane il porto di Rimini e i progetti dell’Ing. Brighenti, non sarà la fine del mondo se un lettore non lo ha capito. L’occasione è buona per riflettere insieme sulle attitudini umane con la profonda saggezza di La Rochefoucauld: «Lo stesso orgoglio che ci fa biasimare i difetti da cui ci crediamo esenti, ci porta a disprezzare le buone qualità che non abbiamo».
Loreto Giovannone