Adottare. Secondo il dizionario della lingua italiana significa assumere un figlio altrui come figlio proprio, secondo speciali condizioni e forme fissate dalla legge. Si tratta di una scelta d’amore ma anche di coraggio a cui molti riminesi, nonostante le difficoltà burocratiche, pensano, soprattutto quando all’interno della coppia ci sono problemi per diventare mamma e babbo. L’adozione, specialmente di tipo internazionale, a quel punto rimane la via alternativa per diventare genitori a tutti gli effetti. Grazie a un vero e proprio report dell’Ausl, si può scattare una fotografia del fenomeno.
I numeri delle adozioni
I numeri si riferiscono a tutti i tipi di adozioni, nazionali e internazionali, e parlano piuttosto chiaro, almeno fino al giugno scorso. Nel solo 2009 sono stati effettuati dalle 4 assistenti sociali dell’equipe, circa 77 colloqui informativi, ovvero il primo step affrontato dalle coppie per iniziare l’iter di adozione. Di queste, 50 (39 del comune di Rimini e 11 di quello riccionese) hanno preso parte ai 5 corsi di formazione e sensibilizzazione. La prima metà del 2010 ha, però, registrato un lieve calo, con 51 colloqui informativi, e con sole 33 coppie ad avere il via libera.
“Negli ultimi anni – sottolinea l’assistente sociale Cristina Buda – le richieste di adozioni nazionali e internazionali sono salite e di pari passo anche il lavoro per noi è aumentato”.
Adozione internazionale
Ma andiamo per gradi. Che cos’è l’adozione internazionale? Oltre ad un atto d’amore incondizionato, si tratta di un’istituzione giuridica che garantisce ad un minorenne in stato di abbandono il diritto di vivere serenamente all’interno di una famiglia diversa da quella biologica. Il tutto è regolato dall’articolo 6 della legge 184/83, modificata successivamente dalla legge 149/2001.
“Decidere di adottare un bambino vuol dire aprire nella propria famiglia uno spazio non solo fisico, ma soprattutto mentale per l’accoglienza dell’infante; in questo senso solo partendo dal desiderio di un figlio e costruendovi sopra un percorso individuale e di coppia, che sia di vera accoglienza, si può iniziare correttamente la strada dell’adozione”.
Ed è proprio ciò che accade all’Ausl, dove le quattro assistenti sociali seguono l’intero iter delle coppie che vogliono affrontare questa nuova esperienza. Dopo un primo colloquio informativo si passa ai corsi di formazione e sensibilizzazione per una durata di circa 10/12 mesi. Poi, una volta ottenuto l’affido completo del bimbo, la coppia ritorna all’Ausl per affrontare i corsi postadottivi, obbligatori, per la durata di un anno.
La verifica del Tribunale
Ma per chi desidera un bimbo questo non è l’unico scoglio da superare. Il primo passo, infatti, è la dichiarazione di disponibilità da presentare al Tribunale dei Minori, a cui segue la verifica dei requisiti. Una fase molto delicata nella quale i genitori, spesso, si sentono messi sotto analisi. Una volta emesso il decreto di idoneità quest’ultimo viene inviato alla Commissione per le adozioni internazionali. Poi, i genitori, a loro scelta, possono decidere l’ente autorizzato al quale rivolgersi per andare a prendere direttamente il bimbo nel suo paese d’origine. Il tutto avviene in non meno di tre anni, alla fine dei quali, se tutto va bene, si procede con il rientro in Italia assieme al bimbo.
È bene ricordare che dal primo giugno del 2010 la Cassazione ha stabilito che chi adotta una bambino non può fare discriminazioni in base all’etnia del piccolo. Insomma, si tratta di un iter davvero complicato, con tempi di attesa molto lunghi e uno stress psicologico non da meno.
La storia di Gabriele
“Al di là di qualsiasi tempo di attesa, al di là di qualsiasi dato statistico, rimane la voglia di essere genitori e spesso quando si vuole adottare un bambino si è disposti a tutto – sottolinea Gabriele Chiodi dell’associazione «La cosa giusta» di Rimini – è proprio per questo che la coppia deve prestare molta attenzione agli enti esteri a cui si rivolge. Dico questo perché esistono associazioni che sfruttano queste coppie per altri scopi”.
Gabriele, insieme alla moglie, dopo un iter di circa tre anni è diventato papà di uno splendido frugoletto palestinese di appena otto mesi.
“La mia storia è una storia fantastica, bellissima. Io e mia moglie lo volevamo tanto e così abbiamo fatto richiesta… come non mai il Tribunale ci ha aiutati fin dall’inizio, ha svolto per noi un servizio formidabile. Io sono un appassionato di studi biblici e dell’ebraismo e forse l’arrivo di questo bimbo palestinese non è stato un caso. Abbiamo seguito un percorso particolare alla fine del quale io e mia moglie ci siamo recati direttamente in Palestina, a Betlemme”.
Marzia Caserio