È morto fra’ Gregorio. Credo non siano molti i riminesi d’età sopra i 50 anni che non abbiano conosciuto questo frate umile e forte, tenero e deciso, di grandissima fede e umanità, che per quasi sessant’anni ha dato alla Comunità Francescana e alla città di Rimini la sua totale, completa e fedele attività.
L’ho conosciuto nel 1949 quando, giovane frate, arrivò nel Convento di San Bernardino, in pieno centro storico, abitato allora densamente da gran parte della popolazione cittadina.
Avevo poco più di 10 anni, abitavo proprio davanti alla chiesa e la mia vita, per gran parte del tempo non impegnato dalla scuola, si svolgeva in mezzo ai frati sia per servire le funzioni religiose, sia per le diverse attività: dal Presepio agli addobbi e alle varie feste e iniziative.
Ci fu subito vera amicizia tra noi ragazzi e questo frate laborioso e vivace che non cessava mai di interloquire con noi anche lavorando, rassettando, preparando gli altari.
Veniva dai monti del Bellunese e della sua terra aveva conservato la tipica giovialità veneta e il carattere saldo e tranquillo del montanaro.
Ricordo quale festa fosse per lui ogni nevicata che a quei tempi spesso imbiancava Rimini. Evidentemente gli ricordava la neve dei suoi monti. Quando nevicava di notte, al mattino, aprendo la chiesa, dopo aver spalato davanti al portone, mi svegliava a palle di neve contro le persiane della mia finestra; così, per allegria e anche per ricordarmi che mi dovevo alzare per servire messa.
Ha visto crescere tutti noi giovani di allora che frequentavamo la chiesa dei frati; ha gioito con noi per le nostre gioie e i nostri successi e ha provato dolore per le nostre pene, le nostre sconfitte e per la scomparsa prematura di qualche nostro compagno.
Nel 1976 ha lasciato il Convento di San Bernardino ed è salito alle Grazie ed a noi che, dispiaciuti, lo salutavamo, disse che dal Covignano ci avrebbe seguito ancora meglio, pregando la Madonna che dal colle veglia su Rimini e i riminesi.
L’ho rivisto un’ultima volta a fine settembre di quest’anno. Si leggeva, sul volto sofferente, che il suo tempo stava scadendo; come dice San Paolo era ormai giunto per lui il momento di sciogliere le vele; eppure nel parlare balenavano ancora i suoi sorrisi arguti e gli sguardi pieni di ironia e di affetto per questi ragazzi ormai vecchi che nonostante gli studi, la carriera, la famiglia e la lunga strada percorsa, avevano ancora bisogno di questo umile frate malato e nascosto, chissà, forse per verificare se ancora ci fosse nel cuore qualcosa delle attese e della speranza che nella semplicità del suo rapporto ci aveva trasmesso.
Così francescano il suo modo di essere; così piena, serena e tranquilla la sua fede !
Una volta lo vidi nel chiostro del convento delle grazie mentre si prendeva cura di un gattino abbandonato e pensai che San Francesco non avrebbe agito diversamente; già, il suo rapporto con gli animali, in particolare con la sua capretta “Rebecca”, era veramente unico e pieno di amore e delicatezza, così come la cura per i fiori e per le piante; era come se cantasse “Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature ”
Non ci ha mai fatto grandi discorsi su San Francesco; ma molto del Santo di Assisi c’era in questa vita semplice e candida e nel rapporto con questa nostra città e i suoi abitanti che amò, riamato, fino alla fine dei suoi giorni.
Fabio Zavatta