Il dolore, che per tante persone è un tabù, si trasforma in un cammino di amore che porta alla riscoperta di Dio. Complice un figlio “diversamente amabile”, protagonista della storia autobiografica Il mio piccolo principe, firmata dall’insegnante riccionese Gina Codovilli. Il racconto, pregno di emozioni e, come sottolinea la stessa autrice, “lacrime e sorrisi”, si dipana lungo i 23 anni di “calvario”, vissuti nella più totale donazione al suo terzo figlio, Andrea, affetto da autismo. Pubblicato dalla casa editrice “Itaca”, il volume si apre con la prefazione del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi che, il 5 dicembre al Palazzo del Turismo di Riccione, ha partecipato alla presentazione del libro, assieme al neuropsichiatra infantile Filippo Muratori dell’Università di Pisa, che ha curato la postfazione.
Gina, perché ha scritto questo libro?
“Ho deciso di pubblicarlo per dare voce ad Andrea che è un autistico non verbale, ossia non parla. Ho, quindi, raccontato ciò che temo lui non possa mai dire. Ho, poi, voluto riportare una testimonianza di fede e dare coraggio a quei genitori che si trovano nelle mie stesse condizioni e che non osano esporsi. Il dolore per tanti è ancora un tabù. Parlare di sofferenza, cosa che dal punto di vista psicologico per me è stato anche liberatorio, non va di moda. Scrivendo ho rivissuto momenti belli e brutti con il batticuore e con le lacrime, come vent’anni fa, quando andavo dallo psicologo. In sintesi scrivere questo libro per me ha avuto pure un effetto catartico”.
Da dove parte la storia?
“Dal momento in cui ho saputo di aspettare il mio terzo figlio. Questo annuncio per me è stato fonte d’immensa gioia, anche perché mi era stato detto che, dopo due maschi, avrei avuto una femmina. Me l’avevano confermato al quarto mese, facendo l’amniocentesi. Ma al settimo, durante un’ecografia si è scoperto che si trattava di un maschio. Ho vissuto questa novità come un lutto, come se avessi perso la mia Giulia, che immaginavo bionda e con gli occhi azzurri. Mi chiedevo in quale fiaba, in quale Galassia fosse andata a finire la mia bambina. Dicevo: deve esserci un posto nell’Universo, dove si coltivano i sogni. Di certo, ripetevo, lei sarà là”.
Poi cos’è successo?
“Dopo due mesi è nato Andrea, sano, bello e robusto. Nulla che facesse supporre la futura diagnosi”.
Quando ha scoperto che suo figlio era autistico?
“Verso gli otto/dieci mesi, mi sono accorta che in Andrea c’era qualcosa di strano, perché non mi guardava negli occhi. Evitava con tutti il contatto visivo, sentivo di non poter comunicare con lui. Era terribile. La pediatra, alla quale chiedevo in continuazione se mio figlio fosse sano, mi tranquillizzava. Sono tornata da lei più volte, finché ha ordinato una visita neuropsichiatrica infantile. Ed ecco la terribile diagnosi”.
Che reazione ha avuto?
“Sono stata malissimo, perché nel darmi la notizia mi è stato pure detto: suo figlio ha dato tutto ciò che poteva dare. Sono rimasta tramortita. Pur essendo insegnante, non avevo mai avuto contatti con gli autistici. Sono andata, quindi, a cercare questo termine sul vocabolario e, letto il significato, sono piombata nella disperazione con tutta la famiglia”.
È stato l’inizio della sua “Via Crucis”?
“Sì. Avevo un grande dolore interiore, di cuore, ma anche di testa e di pancia. A tratti mi arrivava come un pugno nello stomaco che mi faceva cadere a terra. Un oscuro fantasma che mi mandava ko. Sono stata male psicologicamente e fisicamente”.
Cosa le ha dato forza?
“La preghiera, nata spontanea in un momento in cui mi sono ritrovata sul pavimento della cucina. Ero piegata in due. Non riuscivo ad alzarmi e ho detto: Signore aiutami! Ho subito avuto la forza di rialzarmi. Questo mi ha fatto andare in crisi, ma in ogni momento critico ho continuato a dire: Signore aiutami e Lui ogni volta mi ridava forza. E dire che prima andavo a messa solo a Natale e a Pasqua! Questo mi ha fatto sentire un po’codarda. Sono, quindi, andata a parlarne con un prete”.
Cosa le detto?
“Mi ha scritto dei versetti evangelici da leggere. Tornata a casa, ho trovato un piccolo Vangelo che avevano usato gli altri due miei figli da bambini, Simone che ora ha 39 anni e Giacomo di 30. L’ho aperto a caso e in alto, in rosso, ho visto che c’era scritto: Chiedete e vi sarà dato. Sono rimasta senza fiato. Non ho avuto neppure bisogno di cercare i versetti del sacerdote, perché avevo già avuto la risposta a quello che cercavo”.
Da quel momento cos’è cambiato?
“Da allora è iniziato il mio cammino di crescita spirituale. L’ho fatto con persone eccezionali, ossia con le suore della comunità di Monte Tauro che, assieme a don Lanfranco, sono state la mia salvezza”.
Nel frattempo con Andrea cosa ha fatto?
“Ho cominciato un percorso di terapia, sempre nella vivissima convinzione della guarigione. Ho provato di tutto: idroterapia, ippoterapia, pattini, bicicletta, Andrea s’immergeva anche nella vasca con i delfini, quando erano ancora sul lungomare di Riccione. Poi è stato impegnato nella «comunicazione facilitata» con il computer e cure omeopatiche in Germania. Siamo andati persino da alcuni guaritori e a Roma da monsignor Emmanuel Milingo”.
Tanti viaggi, ma il suo lavoro che fine ha fatto?
“Insegnavo alle scuole elementari di Fontanelle da una decina di anni, ma ho dovuto smettere, anche se fare la maestra era un sogno che coltivavo da bambina. Ma, prima, sono stata male, poi, una volta ripresa, ho dovuto scegliere tra la scuola e mio figlio che aveva bisogno di me 24 ore su 24. Con immenso dolore ho lasciato la professione che era tutta la mia vita”.
Andrea, però, è riuscito ad andare a scuola.
“Sì. Ha fatto tutto l’iter: dal nido all’Istituto Alberghiero con inserimento in classe normale e il supporto di educatori e insegnanti di sostegno”.
La donazione totale è servita?
“Direi proprio di sì, anche se non è autonomo, sin da piccolo ha fatto dei passettini in avanti. Per me sente e immagazzina tutto, ma non riesce a restituire ciò che incamera. Io, però, spero sempre di risvegliare il mio Principe dal suo fatale incantesimo”.
Andrea nella sua vita ha pronunciato solo quattro parole, vero?
“Esattamente. Anche se per capirne altre ho fatto di tutto. Ricordo quando per catturare i suoi occhi, lo prendevo in braccio con il suo volto tra le mani gli cantavo a voce alta, ma anche sussurrando, delle filastrocche, come Stella stellina. In questi anni una volta ha detto mamma, un’altra pulcini. Poi al matrimonio della sua maestra e del suo insegnante di musica delle medie ha esclamato: auguri! L’ultima parola l’ha pronunciata l’anno scorso durante la camminata dei Babbo Natale. Nel vedere i fuochi d’artificio ha detto: meraviglia”.
Intanto avete viaggiato tanto.
“Siamo andati a Parigi, Cuba e New York, senza problemi. Abbiamo girato, perché sono convinta che più stimoli si hanno e più si assiste all’evoluzione. Viaggiando senti altre lingue, sapori, suoni, odori… usi nuovi mezzi che possono aiutare a uscire dal fatale incantesimo”.
E in uno di questi viaggi, ha conosciuto il vescovo Lambiasi.
“Esattamente. Durante il pellegrinaggio del 2009 in Turchia. Andrea si è comportato da perfetto pellegrino, senza lamento, e ha capito subito l’attenzione del nostro Pastore, tanto sensibile e ricco di umanità. Mons. Lambiasi è una persona talmente eccezionale e vicina a tutti che fa scattare subito una sorta di empatia. Io e mio marito Valter lo abbiamo sentito come uno di famiglia, un amico di vecchia data, pronto a sostenerti. E lui l’ha fatto in maniera totale, scrivendo la prefazione a questo libro. Non finirò mai di ringraziarlo”.
Nives Concolino
Nella foto, da sinistra: Gina, la nipotina Federica, Andrea “Il principe” e Valter