Quella piccola comunità di confine

    È tutta raccolta in questo lembo di terra, tra il fiume Conca e le pendici del monte Godio, fra la terra di Marche e di Romagna, stretta dalle parrocchie di Fratte e di Taverna: Sant’Apollinare di Santa Maria del Piano è l’ultima parrocchia della nostra diocesi sulla via provinciale del Conca, prima di entrare nella diocesi di S. Marino – Montefeltro.

    Qui c’è un prete che, quanto a numeri personali, non scherza: 65 anni di messa e 60 di servizio nella stessa comunità. Infatti don Giuseppe Foschi è giunto qui il 16 febbraio 1950 …
    “Sono arrivato alla chetichella. Dopo aver lasciato la parrocchia di Serravalle dove ero cappellano, a Rimini ho preso il pullman che mi ha portato a Santa Maria del Piano. E sono arrivato qui senza che nessuno lo sapesse o mi aspettasse. Per di più era il giovedì grasso e in paese si erano organizzati per il ballo di carnevale. Però quelli che mi hanno visto arrivare mi hanno accolto con cordialità, scusandosi per l’improvvisazione: Se l’avessimo saputo non avremmo organizzato il ballo. In cambio, la domenica successiva hanno organizzato una grande festa, con la messa solenne e lo spettacolo dei bambini nel pomeriggio”.

    In 60 anni di servizio pastorale come parroco avrà visto tanti cambiamenti; o forse, come succede per la consuetudine del quotidiano, ci si accorge delle mutazioni di botto, quando una piccola realtà sfugge di mano …
    “È proprio così. Un giorno c’è una casa in più, l’altro giorno arriva una famiglia nuova, poi nasce il negozio, il laboratorio, la piccola fabbrica… Alla fine si scopre che siamo diventati una realtà significativa… Quando sono arrivato c’erano circa 350 parrocchiani; non che adesso siano molti di più, 500 circa, ma è cambiato il contesto sociale e soprattutto religioso.
    Negli ultimi anni è stata fatta una lottizzazione nei terreni attorno al paese, lungo la strada provinciale, e sono stati costruiti molti appartamenti, occupati poi da gente di qui e da gente forestiera: meridionali, spagnoli, albanesi, marocchini … Così anche la parrocchia è cambiata. I nuovi arrivati fanno fatica a inserirsi, sia in parrocchia sia nel contesto sociale”.

    Ma le difficoltà possono essere uno stimolo per una maggiore creatività, per nuove iniziative.
    “Vero, vero, vero! Però bisogna tener conto anche della mia età, 87 anni … E a questa altezza le forze si affievoliscono e così pure la fantasia e la creatività. Comunque cerchiamo di favorire l’integrazione, l’unione del paese, con le feste che coinvolgono un po’ tutti, soprattutto la sagra del Lunedì di Pasqua”.

    Ma anche la parrocchia, in quanto espressione religiosa, avrà i suoi momenti significativi che raccolgono la gente intorno al parroco.
    “Sicuramente c’è un gruppo di cristiani fedeli all’appuntamento domenicale e a tutte le manifestazioni religiose. Ci sono momenti, come Pasqua, Natale, festa della Madonna o di Sant’Apollinare, in cui le presenze sono più numerose. Poi c’è attenzione ai propri morti, soprattutto nell’ottavario, la prima settimana di novembre. Tra le feste la più sentita c’è quella della Madonna, la seconda settimana di settembre. C’è da tenere conto che la chiesa attuale è stata costruita con l’intenzione di farne un santuario, in ricordo di un miracolo compiuto qui dalla Madonna”.

    E per la celebrazione dei sacramenti la gente partecipa?
    “I Sacramenti sono pochi, pochi sono i bambini da battezzare (quest’anno ho fatto un solo battesimo), ancor meno i giovani che si sposano in chiesa… Abbiamo qualche gruppettino di bambini che giungono alla prima Comunione e alla Cresima, e allora è festa per tutti”.

    Entrando in casa da lei ho notato un gruppo di cinque bambini con una signora…
    “Sono i ragazzi che con la loro catechista si preparano alla Cresima. Sono i più grandi. Poi ci sono altri due gruppi, uno di otto e uno di cinque bambini, e si preparano alla prima Comunione”.

    Noto anche che lei non abita nella canonica, di fianco alla chiesa, ma in questa casa, nel cuore del paese.
    “Questa casa, dove abito adesso, l’hanno lasciata le Suore alla parrocchia quando si sono ritirate dal paese. E siccome era adatta per abitarvi e aveva anche il riscaldamento, ho abbandonato la canonica e mi sono trasferito qui. Col tempo poi abbiamo ristrutturato la casa parrocchiale, molto malandata, e l’abbiamo data in comodato a don Claudio Parma che vi porta gli studenti della sua scuola per esperienza di comunione nei fine settimana .
    Qui in casa faccio tutte le attività che posso durante la settimana. Abbiamo anche una cappellina per la messa feriale. Nella chiesa grande ci trasferiamo solo di domenica”.

    Don Giuseppe, lei vive da 60 anni in questa parrocchia, conosce vita e miracoli di tutti. Che cosa ricorda di bello di questo lungo periodo?
    “Meglio non andare troppo indietro con la memoria. Ho vissuto con commozione il sessantesimo anniversario della mia ordinazione, cinque anni fa, sentendo la vicinanza dei parrocchiani. E credo che anche la parrocchia abbia vissuto quel momento con intensità, forse anche nella consapevolezza che, finita la mia presenza, non ci sarà un altro parroco residente”.

    È sempre presto fare bilanci consuntivi sulla nostra vita, tuttavia cosa può dire di questi 60 anni passati a Santa Maria del Piano?
    “Mi verrebbe voglia di rispondere come don Emilio Maresi, quando gli facevano le congratulazione per tutto quello che aveva realizzato al santuario di Bonora: Lasciamo perdere, ho rovinato tutto. Dio solo sa fare i bilanci giusti. Per quanto mi riguarda, sono preoccupato per la vita spirituale della parrocchia, per i sempre più frequenti abbandoni dei giovani, di adulti, di famiglie e perfino di bambini. Di tutto questo, lo riconosco, ho forse colpa anch’io. Io non sono mai stato un uomo di grandi iniziative; ho sempre fatto le cose ordinarie, le piccole cose. Adesso poi che gli anni si fanno sentire e le forze vengono meno, cerco di fare quello che so fare e come posso. Diminuendo l’azione, prego e offro al Signore le sofferenze fisiche e morali per la salvezza delle anime affidate già da tanto tempo fa alle mie cure”.
    Se non ricordo male, anche San Paolo,
    incatenato e prigioniero a Roma, ragionava più o meno così. E il futuro di S. Maria del Piano, come quello di ciascuno di noi, è al sicuro nelle mani di Dio.

    Egidio Brigliadori

    Nella foto, la chiesa di Santa Maria del Piano durante una festa. Sotto la lavorazione artigianale della ceramica