Chiamateci atipici…ma chiamateci!

    Fermi ad aspettare un telefono che non squilla mai. Non stiamo evocando l’immagine di romantici adolescenti alle prese con i primi innamoramenti ma fotografando una realtà lavorativa. Sì, una realtà lavorativa: quella del lavoro a chiamata, appunto. Inserita nel calderone del lavoro flessibile disegnato dalla legge Biagi, questa formula impiegatizia può dirsi una tra le più flessibili di tutte.
    In poche parole un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che lo chiama quando ha bisogno.
    Detta così sembrerebbe il far west della normativa del lavoro, ma in realtà esistono delle regole che ne disciplinano la natura.

    Chi chiama chi?
    Si tratta di un contratto di lavoro subordinato e può essere a tempo determinato o indeterminato. Molto utilizzati nei periodi festivi: Natale e Pasqua; in estate e nei fine settimana, ma ci sono delle regole da rispettare. Contratti collettivi ne regolano la natura, soprattutto per quel che riguarda la tempistica della disponibilità, appunto. Nei week-end il lavoratore è disponibile dalle 13 del venerdì pomeriggio sino alle 6 del lunedì mattina. Dal primo dicembre al dieci gennaio per il periodo natalizio; dalla domenica delle Palme al martedì successivo al lunedì dell’Angelo per Pasqua; e, infine, tutti i giorni compresi tra il primo giugno e il 30 settembre per quel che riguarda il periodo estivo.
    Eterogenea la fascia di età che abbraccia anche lavoratori giovanissimi (dai 15 anni) sino agli over 60. (vedi sotto, tabella relativa ai lavoratori a chiamata, del Centro per l’Impiego della Provincia di Rimini divisi per fascia di età). Mentre la legge vieta che questi lavoratori sostituiscano quelli in sciopero.
    Datore di lavoro e lavoratore possono concordare in contratto il cosiddetto obbligo di disponibilità, a fronte del quale il lavoratore non può rifiutarsi, se richiesto, di prestare la propria attività. La “dedizione” viene pagata con un’indennità mensile. Nel caso in cui il lavoratore non sia tenuto a rispondere alla chiamata, avrà diritto alla retribuzione corrispondente alle sole ore di lavoro effettivamente prestate.

    A scarso diritto
    Ad ogni modo, sia esso solo disponibile o che abbia effettivamente lavorato, un lavoratore di questo tipo non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati, non matura quindi alcun trattamento economico o normativo, salvo l’eventuale indennità di disponibilità. Mentre rispetto alla paga, non ci sono differenze con i suoi colleghi “regolari”.
    Questo a grandi linee quello che capita a questa tipologia di lavoratori. È questo un sistema che ha presa sulla Provincia di Rimini? Ne ha, per lo meno osservando i numeri relativi al Centro per l’Impiego della Provincia che parla per i primi nove mesi del 2010 di un incremento del 15,4% rispetto allo stesso periodo del 2009 (per i dettagli, vedi box sotto).

    Le anomalie del sistema
    “Non sempre i datori di lavoro utilizzano in modo corretto questo tipo di contratto”.
    A parlare è Silvia Zoli, responsabile dell’Ufficio Vertenze della Cgil di Rimini.
    La sindacalista, spiega, infatti, come alcuni contratti di lavoro a “tempo continuato” siano mascherati da contratti a chiamata.
    “Abbiamo rilevato un abuso di questa tipologia di contratto, soprattutto nel settore turistico e dei trasporti. Però i lavoratori fanno buon viso a cattivo gioco, visto che questo non è un periodo troppo florido per il lavoro”. Maschere, quindi. Maschere che però si pagano a caro prezzo, visto che un contratto di lavoro a chiamata, come già detto, non fornisce al lavoratore alcuni fondamentali diritti come la maturazione di un trattamento economico o normativo. “Ma il ragionamento che fanno i lavoratori è lineare: piuttosto che niente meglio piuttosto”, commenta mestamente la sindacalista. Ma quella che ad alcuni lavoratori può sembrare opportunità si può trasformare in “catena” per altri. La storia ci arriva dalla Caritas diocesana: una signora albanese che pensava di lavorare nel corso della stagione estiva ha accettato un contratto a chiamata con l’effetto di vedersi precludere altre possibilità di lavoro: “stavo in attesa, che arrivasse una chiamata, per portare a casa la mia giornata di lavoro”. Detto questo, risulta ancora difficile pensare che questa flessibile forma di lavoro vada tanto in voga?

    Angela De Rubeis