Non è il decano del presbiterio riminese (tale primato spetta a don Pietro Lisi coi suoi 96 anni), ma sicuramente è il parroco più temprato e sperimentato: don Francesco Maria Giuliani, infatti, è parroco di San Giovanni Evangelista in Passano da ben 63 anni, dal lontano maggio 1947.
Don Francesco, che cosa racconterà della sua parrocchia al vescovo Francesco nella Visita Pastorale?
“Dirò che 63 anni sono carichi di storia: storia di persone, di famiglie, di comunità. Quando sono arrivato qui nel maggio del ’47 era tutta una distruzione, tutti avevano ferite da sanare e tanti muri da ricostruire… Eravamo senza chiesa, senza canonica… All’inizio io mi sono appoggiato a Coriano, ospite di don Michele, poi ho goduto dell’ospitalità di una famiglia di qui…
La gente mi ha accolto con entusiasmo. Di abbondante c’era solo la voglia di ricominciare! Si sono buttati a capofitto per rimuovere le macerie e permettere la ricostruzione. Poi la ditta ha cominciato a costruire canonica e chiesa ancor prima di sapere quando sarebbero arrivati i soldi per i danni di guerra. Il fronte era già passato da due anni, ma, non essendoci il parroco, tutto era rimasto nell’abbandono ”.
Dunque il suo primo incontro è stato con le macerie lasciate dalla guerra. Ma la gente come ha accolto il nuovo parroco?
“Come ho detto, c’era molto entusiasmo. Aspettavano il parroco da diversi mesi. Intanto veniva per il servizio religioso il cappellano delle suore di Coriano. E poi, essendo distrutta la chiesa, ci si serviva dall’oratorio della Madonna della Consolazione. È stato lì che ho fatto il mio ingresso come parroco, con tutta la gente fuori sulla strada perché, ovviamente, dentro non ci stava.
La gente mi ha dimostrato il suo affetto e la sua grande generosità coi fatti, prima che con le parole. E i fatti sono che hanno lavorato gratis per rimuovere tutte le macerie. È stata una gara di generosità”.
Allora forse la parrocchia era più piccola, con meno abitanti …
“Direi che c’erano meno case di adesso, ma forse qualche abitante in più. Sul numero dei parrocchiani non ci sono grosse differenze tra oggi e 63 anni fa. In questo mezzo secolo abbondante molti passanesi si sono trasferiti altrove, ma sono pochi quelli che vi sono venuti ad abitare”.
Qualche curiosità. Nonostante il molto tempo trascorso, lei ricorda i primi atti ufficiali di parroco compiuti a Passano? Ricorda, per esempio, il primo battesimo o il primo matrimonio?
“Ricordo bene che in quei primi tempi a Passano non c’era ancora il Fonte battesimale. La gente andava a battezzare a San Savino o a Coriano. Fu il vescovo Santa che qualche mese dopo il mio arrivo mi diede facoltà di battezzare anche qui. E il primo battesimo, l’11 gennaio 1948, fu quello di una bambina, Anna Maria, che oggi, sposata, vive a Coriano. Il primo matrimonio invece l’ho celebrato poco dopo il mio arrivo, l’8 giugno 1947: erano i giovani Baschetti – Tamagnini. E purtroppo c’è stato anche un primo funerale, una bimba di nome Cecilia, di appena due anni. A quei tempi si moriva anche da bambini”.
Un’ultima curiosità sul passato, poi passiamo alle cose attuali. Nei suoi 63 anni di parroco ha fatto più funerali o più battesimi?
“Credo che le due linee, parallele e divergenti, più o meno, si equivalgano. Del resto, dopo 63 anni la popolazione è ancora la stessa. Piuttosto è con dolore che devo constatare che mi è capitato di fare il funerale di persone che avevo anche battezzato”.
E nella parrocchia di oggi vivono tutti quelli che lei ha battezzato, ha sposato, ha portato ai sacramenti. Ma sono bravi come allora?
“Non posso lamentarmi. Certo la vita moderna comporta ritmi diversi, ma cerchiamo di restare saldi con alcune tradizioni”.
Ci descriva allora un po’ più nei dettagli la sua parrocchia di oggi.
“La nostra è una piccola comunità di circa 300 persone. Anche se cerchiamo di coinvolgere tutti, è difficile però trovare nuove persone che si aggreghino spontaneamente alla vita della comunità
Il fatto poi di essere una piccola realtà, con un parroco anziano, ci penalizza sotto vari aspetti. Ci sembra di essere un po’ ai margini della Chiesa perché le nostre problematiche ed esigenze non rientrano in quelle delle comunità più grandi e popolose, che riescono a realizzare più iniziative e hanno più risorse. L’esiguo numero di bambini e ragazzi del catechismo, per esempio, ha impedito più volte, in particolare in occasione della Cresima, che presenziasse il Vescovo, lasciando al parroco un mandato speciale perché potesse conferire lui stesso il sacramento.
Come ho già accennato, fino a poco tempo fa il nostro territorio era stato caratterizzato da un forte decremento demografico. Solo recentemente sono state costruite nuove abitazioni che hanno permesso l’arrivo di nuove famiglie. Alcune hanno iniziato a partecipare alla vita della parrocchia secondo le loro possibilità e disponibilità. Molti invece non partecipano affatto o per scelta personale o perché sono rimasti ugualmente legati alle realtà dalle quali provengono”.
L’attaccamento ad alcune tradizioni, mi diceva, ha dato continuità alla vita pastorale della parrocchia. Quali in particolare?
“Prima di tutto il nostro legame con l’Azione Cattolica. Tramite l’iscrizione a questa Associazione e con le varie adunanze di settori, dai bambini agli adulti, ho potuto fare tantissima catechesi. E anche oggi continuiamo sulla stessa pista. A gennaio, per esempio, per la festa di Sant’Antonio, curiamo tre sere di catechesi con gli adulti e a fine luglio, per la festa delle famiglie, coinvolgiamo tutti, sia per la catechesi che per l’animazione del momento ricreativo.
Poi ci sono le feste religiose, da quella del beato Enrico (che vede anche la partecipazione di molti ex passanesi) a quella della Madonna della Consolazione.
Una menzione particolare merita la solennità di san Giovanni evangelista, patrono della parrocchia, il 27 dicembre. In occasione di questa ricorrenza, da sempre ho coltivato la consuetudine di invitare in parrocchia tutti gli altri sacerdoti del Vicariato per un momento di condivisione e confronto, che poi termina con il pranzo. Nel pomeriggio c’è la concelebrazione, assieme ai parroci che possono rimanere, e a tutti i parrocchiani, della Messa solenne in onore del Santo.
Ecco, noi cerchiamo di sfruttare le nostre tradizione per la crescita spirituale dei parrocchiani, rivestendole di significato religioso e catechetico.
Ma coi tempi moderni cerchiamo di fare anche cose moderne: da qualche anno abbiamo dato vita ai Centri di Ascolto del Vangelo. La frequenza è un po’ diminuita nel tempo, ma per cercare di coinvolgere più persone, anche quelle che normalmente non parteciperebbero, cerchiamo di vederci soprattutto presso le famiglie che sono disposte ad accoglierci”.
Certamente le tradizioni sono un ottimo strumento per incontrare gli adulti. E i bambini, e la loro catechesi?
“La scarsità di popolazione e il basso tasso di natalità non hanno certo aiutato la nostra comunità, già piccola, nella catechesi di Iniziazione cristiana. I bambini e i ragazzini del catechismo sono all’incirca 15, distribuiti più o meno fra i 7 e i 12 anni.
Un fattore che ci sfavorisce è l’assenza di una scuola sul territorio. Molti genitori infatti preferiscono portare al catechismo i loro figli nello stesso posto in cui frequentano la scuola (per esempio Coriano) perché continuino a frequentare i loro compagni.
Questo logicamente influisce anche sulle funzioni domenicali, poiché le famiglie seguono la Santa Messa dove i figli frequentano il catechismo”.
E la domenica riesce a essere ancora un giorno importante per voi, un giorno di incontro e di preghiera?
“Forse non più come un tempo, anche perché adesso, date le mie condizioni, celebriamo una sola messa alla domenica mattina. Però cerchiamo di curarla bene, coi canti, con i lettori, con la processione offertoriale…”.
Coi suoi 90 anni abbondanti e col problema delle gambe stanche avrà bisogno di validi collaboratori in tutti gli aspetti del lavoro pastorale. Che aiuto trova nei suoi parrocchiani e fuori parrocchia?
“Accolgo con gratitudine l’aiuto che i parrocchiani possono offrirmi, anche per fare dignitose celebrazioni, e ognuno fa quello che può nei limiti che spesso ci vengono imposti dal lavoro, dalla famiglia e dalle condizioni fisiche.
Importante il lavoro che svolgono i catechisti nella preparazione dei bambini ai sacramenti ed ugualmente importante il ruolo dei gestori del circolo Anspi, perché ci danno la possibilità di tanti momenti di aggregazione e di amicizia. Poi c’è il Consiglio Pastorale che, riunendosi di tanto in tanto, tiene presente tutte le attività e si preoccupa che siano portate avanti con diligenza.
Un valido aiuto mi viene anche dal diacono di Coriano, che tutte le domeniche mi aiuta nella celebrazione della messa e per l’omelia”.
E che cosa si aspettano, il parroco e questa comunità, dalla Visita pastorale?
“La maggior collaborazione possibile. La nostra parrocchia ha sempre cercato di collaborare con quelle vicine, pur risentendo di un certo campanilismo, retaggio di un vecchio modo di pensare tipico delle zone rurali. Negli ultimi tempi abbiamo cercato di appoggiarci e anche aprirci di più alle altre realtà parrocchiali, non sempre troviamo però molta disponibilità e collaborazione.
Siamo ben consapevoli della scarsità dei sacerdoti e che certo non può essere facile per chi si occupa già di più parrocchie, prendersi sulle spalle, anche se in parte, il peso di un’altra comunità.
La paura che abbiamo è che, essendo il parroco alquanto anziano, alla mia scomparsa, la parrocchia finisca per essere un’appendice (inutile) di un’altra comunità”.
Ma nella Chiesa nessuno è appendice e tanto meno inutile. Tutti invece siamo sempre protagonisti, nei modi e nei tempi a noi concessi.
Egidio Brigliadori