Nella 23ª Sessione ordinaria del 24 maggio 1860 l’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna (anno accademico 1858-1860) pubblicò una memoria sul Porto di Rimini inviata dal Prof. Cav. Maurizio Brighenti. La memoria era un resoconto dell’incarico ricevuto nel febbraio 1860 dal Magistrato Municipale di Rimini allo scopo di “accennare al modo di vantaggiare le condizioni del porto canale”.
Questioni intorno al porto
Due sono i progetti che Brighenti presentò per il porto di Rimini. Nel primo progettò un porto canale e bacino con la deviazione del Marecchia, nel secondo progettò due sbarramenti in mare a protezione dalle correnti marine. “Due grandi questioni marine – dice l’Accademico – si vanno ora agitando. È egli possibile dare un porto per le grosse mani in una spiaggia sottile, come dalla punta di Sdobba al Tronto e specialmente senz’avere acque chiare alle spalle? È egli possibile migliorare la condizione navigabile delle foci dè grossi torrenti che vi portano nelle piene grosse ghiaje, e molte torbide?”. L’ estrema chiarezza nelle domande che si pone Brighenti evidenzia una conoscenza approfondita delle problematiche sulla navigabilità portuale nei porti fluviali. Continua Brighenti “A questi due problemi ho fatto una risposta nel piano d’avviso che dovetti fare per servire al patrio Comune (di Rimini), che fu qui esaminato da una Commissione nominata dal Governatore Farini, e che io dovetti presedere, ed ora si esaminerà a Torino”.
Tra storia e politica
Luigi Carlo Farini (1812-1866), nato a Russi, fu medico, storico e politico italiano. Nel 1859 fu nominato regio commissario di Modena, pochi anni dopo fu per breve tempo Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia tra il 1862 e il 1863, succedendo a Bettino Ricasoli. Il quadro politico dell’epoca registra avvenimenti di portata storica, sotto il Governo del Re Vittorio Emanuele II si emana e si esegue l’articolo primo del Regio Decreto del 18 marzo 1860, 15 aprile 1860 n. 4059 Autorizzazione al Governo a dare esecuzione al Regio Decreto del 18 marzo 1860 relativo all’annessione delle Provincie dell’Emilia allo Stato. Nei mesi successivi, precisamente il 26 ottobre 1860, sotto il Governo Cavour, con lo storico incontro di Teano, Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele II tutti i territori da lui liberati.
Brighenti e la deviazione del Marecchia
L’idea originaria della deviazione del Marecchia risaliva al 1764, il primo a formularla fu l’Ing. idrostatico Serafino Calindri. A parlarne concretamente fu l’Ing. Maurizio Brighenti nel 1860, l’effettiva deviazione fu realizzata nel 1938. L’ingegnere riminese anticipò di 70 anni circa l’effettiva deviazione del Marecchia. Scriveva Brighenti nella sua relazione “Quanto al primo progetto di un nuovo porto colla deviazione del fiume, è manifesto che bisogna: 1. Deviare il fiume tanto lontano da non temer l’ingombro dè suoi materiali alla bocca del porto; 2. Allungare l’attual canale sino all’acqua alta del mare (non meno di metri 6) sotto il pelo ordinario per averne una secolare durata, da potersi protrarre con allungamenti successivi dà tardissimi nipoti”. Nella prima soluzione della deviazione a sinistra del Marecchia, continuava Brighenti “occorre portar la nuova foce a 4 miglia dal porto”. Quattro miglia terrestri equivalgono a 6437 metri circa, si ipotizza che la foce fosse tra l’attuale Viserbella e Torre Pedrera. Volendo fare oggi un’ipotesi del tracciato di Brighenti, appare naturale il proseguimento del letto fluviale in linea retta in prossimità dell’ansa della via Emilia, proseguendo a nord dell’attuale via di San Martino in Ripa Rotta, sfociare in Adriatico in prossimità dell’attuale via Verenin, che dista esattamente quattro miglia dal porto di Rimini. Continuava Brighenti “e siccome il taglio dovrebbe farsi per le più fertili terre dell’Agro Riminese, e richiederebbe tre grandiosi ponti; così la sola deviazione importerebbe tre milioni di lire italiane”, un’opera grandiosa che all’epoca non fu realizzata.
La seconda soluzione
Nella seconda soluzione progettava lo sbarramento artificiale prendendo ad esempio il porto di Ancona. “Non saprei fare altro concetto, che quello dell’imitazione di ciò che la natura ha operato per dare il porto ad Ancona. A quel promontorio naturale convien sostituirne uno artificiale colla punta in 4 o 5 metri d’acqua, cingendola di un bacino che guardi ai venti di terra, fra Ponente e Garbino, donde non proviene mai la burrasca. Inoltre coll’aiuto dei cavafanghi mantenere quel bacino, come si fa in Ancona”. Come emerso in precedenti studi fu l’Ing. idrostatico Serafino Calindri il primo ad inventare ed usare “macchine” per la pulizia del canale portuale riminese, antesignane dei cavafanghi. Sulla vantaggiosa posizione del porto di Ancona scriveva Alessandro Cialdi nella Sintesi di fatti per dimostrare come il moto ondoso del mare (1860, pag 109): “Brighenti ed io abbiamo detto in proposito della naturale e facile conservazione del porto di Ancona”.
Prolungamento dei moli con sassi di Pesaro
Brighenti proseguì la relazione del secondo progetto tenendosi al limite dei 4 o 5 metri di profondità sufficienti alle navi di poca portata, diede indicazioni tecniche e preziose informazioni sui materiali da usare. “Prolungare gli attuali moli di legno: quello a destra fino a metri 600 dalla punta dell’attuale di questa parte, con opera murata sul principio per metri 350 fatta con sasso di Pesaro in malta di calce e pozzolana a pietra perduta (la stessa pietra di Pesaro e pozzolana voluta da Luigi Vanvitelli come scritto nella perizia Banderati Pietra delli monti di Pesaro care cento e ottanta, ndr), come si pratica (fra paratie munite di tela da stagno) fino alla colma, e metri 2 sopra la colma d’un muro di mattoni a cortina, e cantoni, e coperta di marmo d’istria. I rimanenti metri 250 con simile mutamento sopra la colma, e sotto con una gittata di scogli naturali dell’Istria come fu praticato a Malamocco (Venezia), o artefatti come a Livorno. La simigliante opera di muro si farà dalla parte sinistra, il cui molo dovrà prolungarsi metri 500”. Nel progetto Brighenti curvava le estremità dei due moli a forma di bacino collocandovi la “cella” del custode e due fanali, sia il bacino che i moli sarebbero stati muniti di gruppi di ormeggio. La spesa preventivata da Brighenti per la deviazione e i tre ponti “non arriva a sei milioni di lire italiane”, mentre “un decimo soltanto di questa spesa occorrerebbe per l’esecuzione del secondo progetto di miglioramento del porto attuale con due dighe isolate in mare”. Le dighe in mare interrompendo il fluttuare delle correnti “vantaggiavano” le condizioni del porto. “Le proposi a Sinigallia, e furono approvate, e sono in corso di esecuzione. Confesso però che quella mia proposta non ottenne quella discussione ch’io aveva caldamente promossa, ed il Consiglio d’Arte emise il suo parere sulla fiducia del proponente, e non sulle ragioni dell’arte. Ond’io resto sempre col desiderio, che la proposta (per il porto riminese, ndr) sia bene considerata, ed appoggiata dal consiglio degli esperti, od esclusa con argomenti migliori dei miei”.Brighenti mostrò prudenza e lungimiranza.
Sbarramenti frangiflutti e moto ondoso
I due sbarramenti, di una discreta consistenza e lunghezza, sono descritti come dighe. “La prima è un molo di legname che recinge uno spazio di acque fonde oltre metri 3 sotto la colma ordinaria, fatto né modi consueti, come i guardiani che muniscono la foce dè nostri canali navigabili. L’altra in metri 5 d’acqua e di distanza di 600 metri circa dal lido, fatta di materiale sul fondamento d’una gittata di scogli d’Istria, e muramento sopra la colma alto 2 metri, come si pratica nei moli murati in mare: sarà lunga metri 200 colla sommità larga metri 5 con gruppi di ormeggio, anelloni di ferro e due fanali alle due estremità rotonde in forma di cono tronco”. Brighenti descriveva sinteticamente i suoi progetti ma entrava nel dettaglio esecutivo indicando i materiali, la messa in opera degli stessi, dimensioni e quote. Inoltre prescrisse un rinforzo per lo sbarramento (diga) di legname con funzione di ansa di ancoraggio e ricovero per le barche di cabotaggio: “Né tempi delle burrasche… e sono lo strumento del commercio ordinario”. L’ansa distante 150 metri dalla foce “sarà riempita fino a 2 metri sopra la colma con sasso di Pesaro, alternato a strati di fascine di tamarisco o di quercia; fortificata dalla parte di levante esterna da una gittata dello stesso sasso di Pesaro a scarpa della pendenza di 1:3”. La pendenza del 30% è un terzo di 90°. L’altra diga distante 600 metri dal lido doveva servire in caso di necessità “di assicurare al largo un ancoraggio ben guardato alle barche del commercio ordinario, ed anco alle maggiori che toccano questi paraggi”. Brighenti dispone l’esecuzione, senza specificare come, in modo da abbassare la foce d’ingresso al canale e permettere l’ingresso alle barche a pieno carico. Emerge la profonda conoscenza delle correnti marine e dei problemi conseguenti, riassunti con estrema chiarezza alla fine della relazione. “Le levantare, le quali sono le traversie più forti, nelle nostre spiagge sottili cagionano un moto ondoso, che ha forza di trasportare i materiali del lido da destra a sinistra, ed anco i galleggianti più gravi (pesanti) come sono le barche cariche, superando la contraria forza della corrente del litorale”. In conclusione, il riparo dal moto ondoso avrebbe permesso di avere un porto navigabile ma nessuno dei due progetti fu realizzato, all’epoca. Il governo del re immediatamente dopo l’annessione allo Stato delle province dell’Emilia, su parere dell’Ing. Pietro Paleocapa, deputato del parlamento Subalpino, ministro dei lavori pubblici fino al 1857 e membro della Commissione per la costruzione del canale di Suez, preferì il più economico prolungamento dei moli. Con Legge 115 del 17/07/1861 si autorizzò la spesa straordinaria di lire 226,00 per miglioramenti al porto di Rimini.
Loreto Giovannone