Chi sperava che il 2010 fosse l’anno della definitiva ripresa della produzione di miele resterà con l’amaro in bocca. Le api sono ancora in crisi, e non è detto che la situazione si rimetta tanto presto. Peccato, perché il 2009 era stato davvero un anno fantastico, e le aspettative erano alte.
“Non si può dire che il 2010 sia andato male – precisa Marco Valentini, produttore di miele biologico e tra i principali esperti di apicoltura del paese – ma la produzione è stata più bassa di quella dell’anno scorso. Complici le piogge di inizio estate, che hanno rallentato la fioritura, e la moria invernale”.
Insomma, i problemi delle api non sono ancora terminati. Cause, oltre alla Varroa (l’acaro proveniente dall’est asiatico che negli anni scorsi ha letteralmente decimato la popolazione delle api nostrane e non solo), anche l’utilizzo dei pesticidi e, non ultime, le condizioni meteorologiche.
“Si stima che quest’anno la mortalità sia stata del 30-40%. Un numero molto alto, purtroppo. Nonostante tutto, però, la produzione è stata nella media annuale”.
Eppure i prezzi non saranno proprio economici.
“I prezzi si alzeranno, come avviene ormai da parecchi anni. Sia a causa dell’alta mortalità che ovviamente determina un aumento dei costi di produzione, sia perché in tutto il mondo c’è stata una flessione nella produzione, soprattutto in paesi come l’Argentina, il Brasile e il Messico che gli anni scorsi esportavano grandi quantità di miele e che quest’anno, invece, hanno diminuito la produzione preferendo altri tipi di coltura intensiva. Anche la Cina ora vende la maggior parte del proprio miele nel mercato interno”.
La situazione in provincia
Scendendo nel particolare, in Romagna la varietà che ha sofferto di più è stata l’acacia, a causa delle prolungate piogge primaverili ed estive. Anche se grazie alla fioritura tardiva si è riusciti un po’ a recuperare. Bene i mieli di sulla, eucalipto e tiglio, che si confermano nella media, mentre scarsi sono stati i raccolti di castagno. Angelo Dettori è uno dei principali produttori di miele della provincia di Rimini.
“La produzione quest’anno è stata nella media. Qui in zona abbiamo fatto 30 kg tra millefiori, di buona qualità, e poco di acacia, tiglio e coriandolo. Il miele di acacia quest’anno non è particolarmente buono, ma non è una novità. Questa non è una zona vocata e l’acacia è buona un anno su cinque. Tiglio e coriandolo, invece, sono molto buoni, ma scarsi”.
Ma c’è una novità interessante, ed è la varietà millefiori che si produce in Alta Valmarecchia e nel Montefeltro, attorno a Carpegna.
“Il Montefeltro si sta rivelando una bella scoperta per il miele. Da alcuni anni produciamo un millefiori davvero notevole, merito del territorio poco contaminato. Le caratteristiche di questo miele sono costanti e ciò crea i presupposti per un riconoscimento valido per questa zona. Penso ad esempio ad una DOP”.
Ma sono pochi gli apicoltori locali, i produttori riminesi iscritti all’ARA (Associazione Romagnola Apicoltori), con sede a Ravenna: appena una decina su un totale di 500.
“A Rimini non siamo in molti: 5, 6 professionisti. E siamo solo in due a fare del nomadismo spostandoci con le arnie. Per la maggior parte, chi fa miele lo fa se ha la fortuna di avere le arnie vicine ad un piccolo bosco di acacie o di castagni”.
Tradotto, ogni anno diminuiscono gli apicoltori ma non la qualità.
“Il miele italiano – conferma Marco Valentini – è uno dei più buoni. Il merito si deve soprattutto alla cura e all’attenzione che i piccoli produttori mettono nel loro lavoro. Il nostro mercato, infatti, è fatto non tanto di grandi aziende, tranne qualche raro esempio, ma di piccoli produttori sparsi sul territorio. Questa forza qualitativa è anche una debolezza del sistema. Quello che manca, oggi, è il ricambio generazionale. La maggior parte degli apicoltori è ormai in età da pensione, e di fronte ad annate molto difficili, come le ultime, preferisce ritirarsi che continuare. Spesso i loro figli non vogliono seguire le orme paterne, e nel contempo le Regioni e lo Stato investono molto poco in corsi di preparazione, o in aiuti nel settore”.
Se qualcuno volesse diventare apicoltore quale percorso dovrebbe seguire?
“Non ci sono strade istituzionali. La cosa migliore è affiancare un apicoltore e imparare da lui”.
Molti invece scelgono un’altra strada, quella hobbistica.
“La differenza tra un apicoltore professionale e uno amatoriale – chiosa Carlo Cuccia, ex apicoltore riminese e organizzatore della Festa del Miele di Montebello – non è solo nella quantità, ma anche nella scelta delle varietà. Chi lo fa per passione raramente si sposta. Ha i suoi alveari in zona e produce o miele millefiori, oppure, se trova colture specifiche, monoflora della zona. Chi invece lo fa per lavoro si sposta portando le proprie api in tutta Italia, nelle zone in cui le singole varietà di fiori e piante sono migliori”.
Stefano Rossini