Le “migranti sospese” sono quelle che decidono di tornare indietro. Un passo difficile, anche per chi si è assentato per un breve periodo. Il “mito” del ritorno e le aspettative delle donne spesso si scontrano con una realtà profondamente cambiata, in famiglia e nella società, fino a farle sentire straniere in patria. È come “se il tempo si sia fermato durante gli anni passati all’estero”. Lo raccontano le stesse immigrate intervistate da Francesca Vianello, sociologa e docente dell’Università di Padova, che ha pubblicato con Franco Angeli “Migrando sole. Legami trasnazionali tra Ucraina e Italia”: difficoltà di orientarsi anche solo per andare al mercato, la percezione di un paese che si sente “più cupo” nei colori, nel clima e nel rapporto con le persone, la preoccupazione di ricadere nella povertà. Pensano di rientrare in famiglia e di riacquistarne il controllo, ma non è così. Neanche piatti e bicchieri sono più dove li avevano lasciati prima di partire.
Le migranti “sospese”. Sono donne giovani tra i 30 e i 44 anni che rientrano, dopo uno o due anni di lavoro all’estero, un periodo relativamente breve ma sufficiente a mettere da parte un po’ di soldi. Una delle motivazioni principali del ritorno è la paura di perdere il proprio compagno; queste donne dichiarano di non voler mettere a rischio l’equilibrio familiare prolungando la permanenza all’estero. A volte la motivazione è legata al fatto che i figli sono divenuti ormai grandi e autonomi economicamente: “Viene a mancare il motivo che giustifica l’assenza prolungata delle migranti”. In questa “categoria” ci sono anche donne anziane; hanno lavorato a lungo in Italia pur non avendo mai intenzione di stabilirvisi definitivamente: non hanno richiesto il ricongiungimento familiare e dopo tanti anni di lavoro rientrano per invecchiare in patria, “sperando di avere al proprio fianco i familiari che hanno a lungo mantenuto”. Una delle intervistate da Francesca Vianello racconta: “Com’è stato il ritorno? Come un secchio di acqua fredda sulla testa. Perché mi sembrava tutto diverso. In meglio o in peggio? Era tutto lontano. Facevo fatica a comprendere, sono stata chiusa per un mese prima di capire dov’ero, forse perché non ero abituata a girare. È stato uno stress, come ho fatto fatica ad ambientarmi in Italia, lo stesso quando sono tornata in Ucraina. Cos’è che le era più difficile? Anche andare in negozio, chiedevo sempre a mia mamma di venire con me”.
Causa della crisi dei rapporti. Lo studio dimostra che “la disgregazione della famiglia è al centro delle accuse che vengono rivolte alle migranti”. Sono i rapporti con i figli ad incrinarsi maggiormente, anche se questi “riconoscono il sacrificio delle madri e sono loro grati”. Più difficile il rapporto tra madri e figlie, cresciute da sole e per questo maggiormente indipendenti. Non riescono più a sopportare i “modi autoritari” delle mamme e non accettano di essere trattate come bambine. (cch)