Sono i padroni di casa. Quelli veri. Quelli che da trent’anni aprono e chiudono i padiglioni fieristici di Rimini, accogliendo ministri e intellettuali, attori ed elettricisti con lo stesso sguardo, con la stessa intensità. A braccia aperte e con il cuore spalancato. Sono studenti, imprenditori, padri di famiglia. Ogni volta è un’avventura nuova. “Domenica mattina, quando abbiamo cominciato e fervevano i preparativi – ha raccontato Giancarlo Cesana, una delle eminenze grigie della kermesse, a Emma Neri nel libro La storia e i testimoni – sulle scalinate erano seduti i giovani della militanza, tutti con la maglietta blu. Davanti alla scalinata c’era una ragazza che con grande decisione e accuratezza lavava il pavimento. Guardandola mi son detto: «Eccolo, il Meeting!»”
Già, il Meeting. Un’opera che muove quasi 4mila volontari, che scelgono Rimini dall’Italia, dall’Europa e dal mondo alla fine dell’estate. Cos’è che fa sacrificare le ferie per venire a lavorare gratis, e per giunta accollandosi spese di viaggio e di soggiorno? “Offriamo il nostro contributo per un’opera che ci supera” è la spiegazione di Betta, studentessa dell’Accademia di Brera. Anche quando il contributo è umilissimo come lavare i pavimenti o spostare sedie di un incontro dopo l’altro senza mai portarsi a casa una sola parola dell’ospite di turno.
Quelli del pre-Meeting, poi, sono ancora più temerari. Provate voi a far librare la colomba senza avere il tempo di ammirarla in volo. Quando si accendono i riflettori, loro sono già a casa. Se ne vanno sul più bello, ma non perché abbandonano la nave. “All’inizio pensavo di fare una cosa utile per la costruzione del Meeting, ma dopo i primi giorni sono stata costretta ad andare al fondo della questione. – ammette Elisa di Rimini – Non mi bastava far fatica nemmeno in nome del movimento: avrei mollato tutto, ci doveva essere una ragione in più”. Elisa l’ha trovata, anche grazie a quelle amicizie che nella vita ti aiutano a orientare lo sguardo: “Non era appena un lavoro per la mostra, per il Meeting, ma era per me, per riconoscere sempre di più Lui all’opera, Lui presente anche in quella circostanza”. Chiaro?
I volontari sono l’anima di questa esperienza, e non solo perché due giorni prima del “su il sipario” la Fiera di Rimini è ancora nel caos. Questa è gente che si butta nell’impresa con gratitudine, e per gratitudine. Ma quale eufemismo! I volontari si pagano tutto: viaggio, vitto e alloggio, magari solo i 3 euro del pranzo-base consumato in Fiera o nelle sale della parrocchia di San Giuseppe al Porto, sempre denari sborsati di tasca propria. Persino la maglietta d’ordinanza non è regalata.
E non c’è crisi che tenga. I bilanci s’ingrigiscono, loro aumentano. S’impennano. Una “militanza” (com’è chiamata nel gergo del Meeting) che supera le 3mila persone durante la settimana clou, oltre 700 quelli del pre-Meeting, all’opera dall’11 al 21 agosto a tirar su i 170mila metri quadri occupati in Fiera.
Il lavoro dei volontari è articolato in 15 dipartimenti: l’esercito più consistente è quello della ristorazione (quasi 700 volontari) ma anche ai Servizi Generali non scherzano con 633 addetti. Giuseppe di Abbiategrasso non ha saltato un’edizione, ma il pre-Meeting l’ha scelto solo nel 2009. “In poche ore mi son fatto coinvolgere da alcuni amici di mio figlio Piero nel preparare la mostra del Paraguay”. Nasce così quella familiarità che dura una settimana, al Meeting, e può continuare per una vita.
Paolo Guiducci