Più che un riminese nel mondo, Camillo Beretta è un cittadino del mondo partito da Rimini. Nasce a Milano, ma si trasferisce a 3 anni a Santarcangelo e diventa un romagnolo a tutti gli effetti, prima di lasciare definitivamente l’Italia per l’Europa e l’Asia.
“Ogni volta che scendo in Italia – racconta – torno a Rimini. Questa è la mia casa. A Milano ho qualche parente, qualche visita di cortesia da fare, ma gli affetti li ho lasciati qui. L’ospitalità romagnola è unica. Quando ci siamo trasferiti la prima volta, mio padre aveva appena avuto un lutto e un amico gli propose di venire in Romagna per distendersi un po’. Arrivammo a Santarcangelo. Mio padre si innamorò del luogo. Fece domanda per lavorare alla biblioteca visto che era già bibliotecario a Milano, e fu assunto”.
Ma anche Rimini, per quanto accogliente, dopo un po’ comincia a stargli stretta. Sono gli anni dell’Università, a Bologna, e Camillo si sposta col programma Erasmus nell’Università del Sussex, in Inghilterra.
“Lì ho capito che quello era il mio mondo, che tutto quello che potevo prendere dall’Italia lo avevo preso e che era ora di cominciare una nuova esperienza”.
L’anno di Erasmus diventa un master in politica e management internazionale. Alla fine degli anni ’90 Camillo inizia a lavorare alla Babel-Media, un’azienda che si occupa di videogiochi.
“Lavoravo come responsabile per la lingua italiana. Poi sono passato alla localizzazione del prodotto per le 4 grandi aree europee. Negli anni l’azienda è cresciuta, passando da 4 a 100 dipendenti, prima che il vento della crisi ridimensionasse tutti i nostri progetti”.
Nel 2002, Camillo si prende un anno di tempo e viaggia in Corea e Giappone.
“La passione per l’Asia l’ho sempre avuta. Nel 1993 partii per la Transiberiana con un amico, arrivammo prima a Mosca, e poi continuammo per la Mongolia e la Cina. Fui colto da una specie di Mal d’Asia. Cerco di tornare almeno una volta all’anno. E appena mi si è presentata l’occasione, nel 2004, sono partito di nuovo, questa volta per la Thailandia e la Birmania. Per alcuni mesi ho lavorato per una ONG, VolunThai, che svolge attività in scuole rurali, con bambini dai 12 ai 18 anni. È stata una bellissima esperienza di insegnamento. Per un momento avevo quasi pensato di trasferirmi definitivamente lì. Alla fine, però, ho deciso di ritornare in Europa”.
Tra i due viaggi, nel 2003, Camillo si trasferisce a Berlino e comincia a lavorare per la Cornelsen Verlag, una casa editrice per l’infanzia. Inizia come freelance, poi viene assunto. Sempre a Berlino incontra la sua compagna.
“Uno dei motivi per cui decisi di lasciare la Thailandia fu proprio questo. La mia vita, ora, era a Berlino. E lì volevo ritornare”.
Dopo tanti anni e tanti viaggi qual è il tuo rapporto con Rimini e l’Italia?
“Cerco di tornare a Rimini un paio di volte l’anno. L’Italia mi fa un effetto strano. Ogni volta che torno mi sembra che non sia cambiato nulla. All’inizio è una bella sensazione. Ti dà familiarità. Però dopo poco diventa asfissiante. L’idea è che qui il tempo si sia fermato e tutto sia rimasto come vent’anni fa: i giornali, le persone, l’atteggiamento, la mentalità. C’è un misto, secondo me, di provincialismo e spontaneità. E se da un lato questo ha sicuramente degli effetti positivi, come il calore delle persone, il circolo degli amici, la familiarità, cose meno presenti nel nord-Europa, dall’altra parte si sente una gran chiusura, una mancanza di stimoli e poca varietà. Diverso è il discorso per Rimini. Tornare qui è sempre una certezza. Ogni volta ritrovo tutto il mio mondo, la mia casa, le amicizie. Ma anche in questo caso ho la sensazione che quello che avevo da fare qui l’ho fatto, e che se fossi rimasto non avrei vissuto tutte le esperienze che mi hanno cambiato”.
Quali sono i tuoi progetti futuri? C’è un ritorno in Italia?
“No. Non torno in Italia a breve. Non saprei cosa fare. E poi c’è da dire un’altra cosa. Quando sono andato a Brighton, nel ’94, mi sentivo fuori dal mondo. Ero lontano da tutti ed era difficile interagire. Ora, grazie a internet, le comunicazioni più economiche e anche i voli continui, non mi sento così lontano. Dal 2001, poi, ho cominciato a collaborare col centro Pio Manzù. Curo il cerimoniale, mi occupo delle comunicazione e delle mediazioni con le personalità internazionali che partecipano all’evento. Allo stato dei fatti mi sento vicino a Rimini anche quando sono fuori, e nel contempo stare in Europa mi permette di essere più a contatto con il futuro. I miei progetti? Sicuramente mi piacerebbe mettere a frutto quello che ho fatto finora e cercare un punto di contatto tra le nuove tecnologie, ambito di lavoro che frequento da sempre, e l’aspetto politico-sociale. Ad esempio l’educazione a distanza, che permette di portare insegnanti competenti anche in luoghi lontani”.
Stefano Rossini