Soffia bonaccia sul capitano, ma chi pretendeva di farne un vessillo del laicismo marinaro, è rimasto profondamente deluso. Giuseppe Giulietti, infatti, è stato solo un grande uomo di mare, il primo sindacalista delle genti di mare e un comandante amato da tutti i suoi equipaggi, ma anche un uomo profondamente segnato dalla fede cattolica della famiglia, in particolare della madre.
Più in generale manca una storiografia (e una bibliografia che vada di pari passo) adeguata che ricordi il “lupo di mare” riminese, ma l’aspetto più religioso di capitan Giulietti non è stato per nulla segnalato nemmeno in occasione della recente inaugurazione del monumento restaurato, dopo i ripetuti e incivili oltraggi subiti a ripetizione. Il monumento al marinaio riminese era stato donato dalla città di Genova, dove il comandante svolse buona parte della sua attività. Il cavalier Moroni è un infaticabile cercatore di notizie su capitan Giulietti, così come all’editore Giovanni Luisè, presidente del Comitato intitolato al marinaio riminese, va il merito di aver organizzato un convegno sul sindacalista del mare. Studiosi e appassionati di questa figura ne hanno esaltato l’impegno e l’ardore nel perseguire la liberazione della gente di mare dall’oppressione e dallo sfruttamento ma è rimasto oscurato il sentimento che ha animato la presa di posizione del capitano.
Giuseppe Giulietti, più conosciuto a Rimini come Fafin, è nato il 21 marzo 1879 dal padre Gaetano, pescatore e già combattente a Lissa, e dalla madre teresa Rossini, figlia di un calafato e di profonda fede cristiana. Giulietti studiò presso l’istituto Nautico “G. B. Ramusio” diplomandosi Capitano di lungo corso. Successivamente prese la via del mare imbarcandosi su navi a vela e subito si impegnò in azioni di promozioni sociali della gente di mare. Ci sono alcune affermazioni di Giulietti che attestano più di altre, la profonda impronta educativa ricevuta dalla madre. Scrive infatti nella presentazione del suo libro Pax mundi: “Il libro è permeato di ferma e sicura fede in Dio. Ciò serva di ammaestramento specialmente ai giovani, perché bisogna persuadersi che, senza l’assistenza di Dio, nulla di buono e di durevole può essere compiuto. Il male, qualunque male, deriva da inosservanza delle leggi di Dio per difettosa volontà nostra”.
Se Dio è assente dalla vita, nulla di buono e di durevole dunque può essere realizzato. Ancora più compiuto è uno scritto del 1909. In data 1° maggio, Giulietti redigeva un appello che per la prima volta unificava, col motto “Dal comandante al mozzo”, tutte le forze del mare in un unico sindacato. In questa occasione scrisse il capitano: “A tutti i lavoratori del mare! La vostra unione, o la vostra unità sindacale, vive e vivrà non per mendicare ma per volere riforme e leggi, fino al giorno in cui gli uomini saranno capaci di osservare la legge di Dio, l’unica che sia veramente giusta”. Per arrivare ad ottenere le pensioni in particolare per le vedove e i figli dei marinai scomparsi, Giulietti aveva dato vita ad uno sciopero di 18 giorni. Cercava gli interessi dei più deboli, ma il lupo di mare era altresì convinto che l’unico bene sta nell’osservare la legge di Dio, l’unica veramente giusta e in grado di rendere pienamente giustizia all’uomo, per mare e in terra. Proseguiva nello stesso appello: “Questa vostra unione si mantiene e si rafforza per la volontà di coloro che intendono fare dello stato maggiore e della bassa forza di bordo una sola grande famiglia, dove ognuno, a seconda della propria intelligenza e delle sue forze, sappia e faccia ciò che deve fare, e voglia e ottenga ciò che deve avere, per il bene di tutti che è il bene di ognuno”.
Oggi si parla tanto di bene comune, questo marinaio l’aveva già compreso bene e con le vele spiegate oltre mezzo secolo fa.
E. Bracconi/P. Guiducci