Cibo di scarsa qualità, indubbia mancanza di tatto, scortesia dell’infermiera di turno, letti troppo scomodi, irascibilità immotivata, poca attenzione al paziente. Queste sono solo alcune, e meno gravi, delle lamentele che raggiungono ogni giorno il Tribunale del Malato di Rimini e le succursali a Cattolica e Riccione. In ognuna di queste sedi, un centro d’ascolto all’interno dell’ospedale si fa carico di raccogliere ogni insulsa o centrale problematica. L’istituto del Tribunale del Malato non è un “caso” ma si inserisce in una rete nazionale che prevede la tutela e la giustizia per i diritti di ogni paziente. A Rimini fanno capo Riccione, Cattolica e da poco Novafeltria che può contare su una sede non decollata ma che deve ancora mettere delle cose a punto.
I volontari: una risorsa!
A mandare avanti l’intera macchina, la risorsa più importante, i volontari tra cui anche degli avvocati. Una rete capillare con la necessità non solo di un coordinamento provinciale, in questo caso svolto dalla volontaria Laura Trovero, ma di un lavoro costante e giornaliero con l’obiettivo di garantire un servizio efficiente.
Ovviamente ogni segnalazione è da prendere con le pinze: “Non tutte, per fortuna, finiscono con provvedimenti legali”, afferma l’avvocato volontario Angelo Pulvirenti che da diversi anni si fa carico dell’aspetto legale delle pratiche che possono scaturire in eventuali processi. “In un anno valuto centinaia di istanze sia verbali sia telefoniche sia telematiche ma sono pochi i casi legali. Appena una manciata”. Però, ancora prima di arrivare sulla scrivania dell’avvocato, le istanze passano per le mani di un altro volontario che redige un verbale in cui vengono raccolti i dati del cittadino e poi a seconda della natura della pratica si intraprende la strada giusta: “A volte, quando si tratta di mancanza di attenzione, igiene ecc… si parla con il caporeparto e si risolve così la questione. Oppure in casi che riguardano le cartelle cliniche si procede con medici legali e in base al riscontro si pensa se è possibile andare avanti o meno”, spiega Pulvirenti.
Quando non c’è “consenso”
Sembra facile ma non lo è.
La casistica è ampia e variegata. Dalle dimissioni non protette alla trascuratezza del consenso informato, dai problemi con l’accompagnamento ai maltrattamenti in corsia. A sentire l’addetto ai lavori alcune si ripetono. Ad esempio la lamentela sull’assenza d’informazioni sul “consenso informato” è una pratica “sempre verde”. La maggior parte dei pazienti non sanno nemmeno cos’è. E così, come se fosse il gioco delle tre carte, si ritrovano a firmare un foglio, sempre più dettagliato, sempre più scritto con un corpo, a volte, troppo piccolo. Ci sono medici, in poche parole, che non impiegano il loro tempo, o ne impiegano poco, a spiegare di cosa si tratta. “Proprio per questo ho vinto alcune cause in cui è stata l’azienda sanitaria riminese a essere condannata”.
Degenze “mordi e fuggi”
Altro giro, altra segnalazione ridondante per quanto riguarda la presunta “leggerezza” del Pronto Soccorso.
Si tratta delle degenze “mordi e fuggi”. Può capitare, infatti, che un paziente mandato a casa, venga nuovamente ricoverato, magari d’urgenza, qualche giorno dopo le prime dimissioni.
Troppa superficialità? Un altro cavallo di battaglia è legato ai trattamenti salvavita anch’essi protagonsti di qualche caso da Tribunale.
La questione si fa ancora più delicata quando si tratta di casi piuttosto gravi come trasfusioni sbagliate, operazioni fatte in modo erroneo. Uno, balzato agli onori della cronaca lo scorso novembre, riguarda una trasfusione di sangue errata – con conseguenza di epatite per il paziente – subita negli anni ’80 e solo dopo più di 20 anni giunta al termine. Infatti, il Tribunale di Rimini ha condannato per danno biologico il ministero della Salute al risarcimento di quasi mezzo milione di euro, il massimo che si poteva ottenere grazie a un decreto dell’aprile 2009 secondo il quale anche dopo 20 anni si possono vedere riconosciuti i propri diritti.
Marzia Caserio