Forse il termine inglese multilevel marketing non vi dice più di tanto. Ma ci scommettete che se lo traduciamo “all’italiana” qualcosina vi rievoca? Vi dice niente, vendita piramidale? Si tratta di un modello di impresa, perfettamente legale, che combina i concetti di vendita con quelli di franchising che, per chi non ne fosse a conoscenza, è la formula distributiva in cui il titolare di un marchio, ne concede lo sfruttamento ad un dettagliante all’interno di un contratto. Chi si trova al vertice della piramide è la prima persona a vendere un determinato bene o servizio ad un numero limitato di altre persone con l’obiettivo di formare una nuova piramide. Con questo sistema, solitamentamente, si smerciano prodotti di largo consumo per la casa o per la persona. Gli affiliati sono spesso soggetti che fanno direttamente uso di questi beni. Tra gli obiettivi c’è, infatti, il passaparola sulla bontà dei prodotti che, per funzionare, deve partire proprio dalle garanzie offerte da persone di fiducia. Nella maggioranza dei casi ogni venditore sottoscrive un contratto di collaborazione, d’agenzia o di franchising sostenendo una spesa d’adesione con la speranza di futuri guadagni. Fin qui, in linea di massima, la spiegazione del funzionamento della vendita piramidale che trova alcuni esempi concreti nel “porta a porta” di enciclopedie o beni per la casa. Un sistema lecito, come detto, che si presta però ad alcune pericolose deviazioni. Da qui è sorta la necessità di una regolamentazione legislativa in grado di porre alcuni paletti.
La legge
“La vendita piramidale diventa problematica – spiega l’ex onorevole Mauro Bulgarelli, primo firmatario della legge 173 (“disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidale”) – quando il prodotto diventa un escamotage per attirare persone”.
In sostanza il problema nasce quando l’obiettivo prioritario non è la vendita ma trovare altri venditori. “Chi decide di entrare in questo sistema paga una determinata cifra per ottenere il prodotto (nel caso del tubo Tucker si trattava di circa 7mila euro per due dispositivi). Non gli viene però chiesto di venderlo ma di portare altre persone disposte a loro volta a sborsare la medesima cifra. Ed è su questa somma che il primo venditore ottiene una percentuale in grado di coprire la spesa originaria e di creargli un guadagno”.
In questo meccanismo, il bene diventa quindi superfluo perchè l’unico sistema per guadagnare è trovare nuovi affiliati.
“Per chi malauguratamente finisce in un simile sistema – prosegue Bulgarelli – il rischio più grosso è quello di distruggere il proprio habitat perchè le prime persone che, in buona fede, si cerca di portare con sè nella nuova avventura sono proprio i familiari e gli amici più stretti”.
Non a caso il percorso che ha portato alla stesura della legge 173, condivisa da tutte le parti politiche (evento molto raro), è nato nei primi anni del 2000 dopo un caso eclatante avvenuto in Veneto quando ci furono anche due suicidi, conseguenza di una truffa legata ad una pseudo vendita piramidale. “Non si è trattato quindi – conclude l’ex onorevole – di una semplice legge per regolamentare il commercio, ma di una vera e propria normativa di valenza sociale”.
Gli effetti
Ma la legge è riuscita nel suo intento?
“Premesso che la vendita piramidale non è illegale – spiega l’avvocato Filippo Cocco, difensore di parte civile nel processo Tucker – possiamo dire che la normativa ha limitato il proliferare di situazioni a rischio dove il prodotto in sé era solo un pretesto”.
Investimento iniziale accessibile con la prospettiva di un guadagno in tempi rapidi. Se questo è l’assunto di molti sistemi basati sul multilevel marketing diventa semplice tracciare anche le tipologie di persone più esposte.
“Sulla scorta di quanto abbiamo visto studiando il caso Tucker – racconta la dott.ssa Sara Benedetti di Federconsumatori Rimini – possiamo dire che questo sistema di vendita attira i giovani in cerca di lavoro e le persone con situazioni familiari o economiche problematiche. Anche se dobbiamo riconoscere che chiunque purtroppo può restare intrappolato nella rete”.
La legge 173 ha avuto poi il merito di regolarizzare la figura del venditore “porta a porta” (inquadramento nel contratto nazionale e tesserino di riconoscimento) evitando quindi possibili distorsioni.
“All’epoca molte aziende – ricorda Bulgarelli – erano allarmate dalla nuova normativa e chiesero di incontrarci per ottenere chiarimenti. Spiegammo che l’obiettivo della norma non era quello di criminalizzare il sistema della vendita piramidale ma le sue distorsioni. In seguito proprio alcune di queste aziende ci fornirono suggerimenti importanti”.
Quindi, ben vengano le piramidi, basta che non nascondano trabocchetti.
Andrea Polazzi