Si scrive ogm, si legge organismo geneticamente modificato. Spesso il risultato è identico: massima confusione. Nei giorni scorsi però il termine è tornato in auge con l’autorizzazione concessa dall’Unione Europea alla “superpatata” Amflora, transgenica e biotech: aggettivi che farebbero impallidire, a prima vista, ogni consumatore. Ma cosa significano questi termini? Gli ogm arrivano sulle nostre tavole? E quanto temerli?
Per cominciare…
Si dicono geneticamente modificati quegli organismi in cui parte del genoma viene modificato tramite moderne tecniche di ingegneria genetica, come l’inserimento di frammenti di DNA presenti in altri organismi. Tra gli ambiti di applicazione, insieme alla ricerca, alla medicina e all’industria, ci sono anche l’agricoltura e l’alimentazione. Esempi? In allevamento la tecnica può servire ad aumentare la produzione di latte o di carne, la prolificità o la resistenza alle malattie di alcuni animali. Un esperimento del 2003 ha dimostrato che è addirittura possibile modificare geneticamente le mucche in modo che producano un latte a più alto contenuto di caseina, proteina importante nell’ottenimento del formaggio. Oppure per produrre un latte a ridotto contenuto di lattosio, per gli intolleranti.
Superpatate e mais
La patata Amflora è l’ultima creazione biotech ammessa in Europa. Prodotta dalla tedesca Basf, è trasformata per avere un maggiore contenuto di amido e accelerare la produzione di tessuti, carta e colla. Il suo impiego, spiega chi di dovere, sarà per lo più destinato all’industria anche se non si esclude che gli scarti della lavorazione possano finire nei mangimi animali, arrivando quindi all’uomo.
Del resto le colture ogm non sono estranee all’alimentazione degli animali da allevamento. Prima di dare il via libera alla “superpatata” l’UE aveva autorizzato nel ’98 (con autorizzazione decennale, ad oggi scaduta) anche il mais Bt Monsanto, destinato alla filiera zootecnica per i mangimi. E in futuro la strada potrebbe aprirsi anche per altri tipi di mais e piante ogm.
Il dibattito
L’Italia, con il ministro Luca Zaia in prima linea, chiude le porte e si riapre il dibattito. C’è chi sostiene che il futuro dell’agricoltura e dell’allevamento non possa fare a meno del biotech, tanto più di fronte al progressivo aumento della popolazione mondiale, e che questi organismi, approvati da enti di ricerca ad hoc, non sarebbero nocivi né per la salute né per l’ambiente. C’è chi, all’opposto, lotta per preservare i campi dello Stivale da possibili “contaminazioni”.
Le associazioni degli agricoltori sono divise con CIA e Coldiretti contrarie e Confagricoltura favorevole.
“Fermo restando che quello degli ogm è un problema che riguarda relativamente il nostro territorio poco interessato da colture estensive e basato per lo più su produzioni tipiche, di collina – premette il presidente di CIA Rimini, Valter Bezzi – non escludo che qualche produttore voglia introdurli anche qui, ma noi siamo contrari”. Il motivo? “Non ci interessa – prosegue Bezzi – produzioni del genere sono uniformate secondo criteri standard, contrari alla biodiversità e tipicità che sono invece i nostri punti di forza”. Giorgio Ricci di Coldiretti punta più il dito sui rischi, non ancora attestati scientificamente, per la salute: “Siamo riusciti ad ottenere per primi dai comuni della provincia la delibera Liberi da ogm, il che rende chiaro il nostro pensiero: non si sa ancora se questi prodotti facciano male o no. Se c’è qualcosa che non va, lo sapremo solo a distanza di anni”.
Di tutt’altra opinione il segretario riminese di Confagricoltura, Giovanni Filanti: “Siamo favorevoli ad una sperimentazione controllata, tanto in laboratorio quanto in aziende di campagna. Ci sono appositi enti di ricerca, anche italiani, che hanno dato parere favorevole a queste tecniche. Problemi per la salute? Finora non sono dimostrati e comunque non va neanche bene opporsi a priori…”.
Quale rischio?
In Italia la legge proibisce di coltivare gli ogm, ma si possono importare e utilizzare al 100% come mangimi per animali da allevamento, inclusi quelli per prodotti tipici. Per Filanti questa è la dimostrazione che gli ogm sono qualcosa di assolutamente normale e innocuo: “Mais, granoturco, soia, colza, semi geneticamente modificati sono tranquillamente utilizzati per l’alimentazione dei suini da cui ricaviamo il prosciutto di Parma, e dei bovini per il Parmigiano reggiano”. “È assurdo. – conferma Ricci di Coldiretti – È difficile verificare l’uso o meno di farine ogm se queste arrivano da altri paesi. Per questo è fondamentale la tracciabilità: dobbiamo sapere se una bistecca proviene da un capo allevato con farina ogm!”. “Purtroppo l’Italia è manchevole di un piano ben strutturato – commenta Valter Bezzi – la maggior parte dei prodotti destinati a mangime alimentare, dalla soia ai semi oleaginosi, sono importati da paesi che fanno largo uso di ogm (Usa e Argentina). Nessuno può metterci la mano sul fuoco. Sulle nostre tavole però possiamo stare sicuri. Bisognerebbe vedere, nel caso dell’alimentazione animale, quanto alla fine arriva all’uomo”.
Presente e futuro
In provincia di Rimini non risultano ad oggi, secondo quanto riferito dall’Ufficio Agricoltura dell’Ente di Corso d’Augusto, coltivazioni ogm né in campo aperto né serre sperimentali. Poco distante da noi, però, qualcosa a livello di laboratorio, si sta muovendo. In regione, consultando il sito internet Comune antitransgenico si scopre che in diversi territori si effettuano sperimentazioni autorizzate di ogm: aziende agricole del ravennate, del ferrarese, del bolognese si cimentano nella coltura di barbabietola da zucchero, soia, mais ogm. E nella lista compare anche un’azienda di Sant’Angelo di Gatteo, la più vicina ai confini riminesi.
Le sperimentazioni potrebbero arrivare anche da noi? Le associazioni agricole non si sbilanciano. In ogni caso, e su questo sembrano tutti d’accordo, prima di immettere sul mercato prodotti di questo tipo bisognerebbe sempre fare le opportune verifiche.
Difficile esaurire un argomento tanto complesso in una pagina. Sull’alimentazione degli animali da allevamento in particolare, torneremo nella prossima puntata.
Alessandra Leardini