“… E di me sarete testimoni”. È un versetto degli Atti degli Apostoli a scandire il cammino quaresimale della nostra Diocesi. Un itinerario di conoscenza, di approfondimento e di meditazione iniziato il 22 febbraio nella chiesa di Sant’Agostino a Rimini e che continuerà per quattro lunedì consecutivi fino al 22 marzo 2010.
“Essere testimoni di Cristo è lo stesso che essere testimoni della nostra comunione con Lui e, tra di noi, in Lui – sottolinea Monsignor Francesco Lambiasi, vescovo della Diocesi di Rimini -. Dopo l’anno dedicato alla contemplazione del Volto del Signore, l’itinerario quaresimale che quest’anno proponiamo è centrato sul mistero della sua santa Chiesa, sulla riscoperta della Chiesa-comunione chiamata a testimoniare nel mondo l’amore di Dio-Trinità, creando così apostoli. Ogni discepolo di Cristo, in questo nostro tempo, è chiamato a essere testimone credibile della speranza e della comunione fraterna narrando l’opera di Dio nella sua esistenza e nella storia dell’umanità”.
La prima tappa del percorso quaresimale è stata proposta, con sguardo biblico, dal professor Ugo Vanni sul tema “Testimonianza e Speranza in Cristo secondo l’Apocalisse”.
Una speranza vissuta
Il padre gesuita ha fatto subito notare che “la centralità della speranza nell’Apocalisse non è di tipo intellettuale e astratto, quasi un concetto che regge e spiega un insieme di concetti che si poggiano su di esso. Non meno di altri aspetti morali, la speranza cristiana si muove nell’ambito del vissuto cristiano. Più che pensata, la speranza è praticata in quella grande esperienza liturgica che costituisce la struttura portante sia della prima che della seconda parte del libro”.
La speranza vissuta emerge già dal contesto di persecuzione e sofferenza, che l’autore presenta, all’inizio del libro.
“Indirizzandosi alle comunità ecclesiali dell’Asia Minore Giovanni si proclama loro “fratello”, appartenente alla grande famiglia cristiana. Questo vincolo di appartenenza e di comunione si fa sentire in modo particolarmente acuto nel “giorno del Signore” (Ap.1,10), quando tutti i cristiani-fratelli si riuniscono in assemblea per commemorare e rivivere insieme la risurrezione del Signore. Il vincolo si fa ancora più stretto in forza della condivisione della “tribolazione”, del “regno” e della “perseveranza” – spiega padre Vanni -. In contatto con Cristo, e grazie al suo influsso, il cristiano supera l’impatto doloroso della tribolazione, senza lasciarsene schiacciare. Riesce a guardare oltre, con la fiducia robusta di chi sa di condividere il regno.
La stessa speranza che anima Giovanni a Patmos aiuterà anche i cristiani delle Chiese dell’Asia. Non è la persuasione banalizzante che “tutto passa”: la prospettiva cristologica del regno di cui fanno parte e al cui sviluppo contribuiscono permette ai cristiani di trasformare una situazione di per sé pesante e negativa nell’occasione di una realizzazione in positivo. La speranza non annulla la sofferenza, ma la cambia di segno”.
La forza di risurrezione
Quale “cristiano” emerge dall’Apocalisse?
“Non è un trasognato: ha il coraggio di guardare in faccia a tutta la realtà, anche negli aspetti più crudi. Nota allora la violenza, l’ingiustizia in tutte le forme che esse sono capaci di assumere; rileva quell’interruzione forzata della presenza attiva sulla scena della storia che è la morte, con il suo contorno di pesantezza e negatività. Il rilevamento del male, anche quando assume proporzioni impressionanti, non lo schiaccia. Il cristiano non dispera.
Accanto e in contrapposizione dialettica con le forze di segno negativo, esiste, anche se come “sommersa” e meno evidente, la forza di risurrezione che Cristo irradia nei fatti degli uomini e di cui i cristiani diventano portatori, sviluppando così la loro mediazione sacerdotale. Si tratta di quella vitalità misteriosa che permette al cristiano di non combattere il male con le armi e le modalità del male, ma di riuscire accanto a Cristo e insieme a lui, a vincere il male con il bene. Siamo alla radice della speranza, che viene attivata nel cristiano dalla partecipazione alla vitalità di Cristo-agnello”.
Quale “testimonianza” dal libro di Giovanni?
“Il grande protagonista della testimonianza è anzitutto Gesù. In tutto l’arco del libro dell’Apocalisse emerge un’insistenza quasi martellante sull’appartenenza a Gesù della testimonianza che lui dà.
Gesù dona e comunica quello che ha. Il suo contatto trascendente con il Padre, con l’esperienza diretta che comporta, lo prende tutto e lo coinvolge continuamente.
Dovremo allora intendere “testimonianza di Gesù” come la testimonianza del Padre che si trova in Gesù che vive in Lui fino a identificarsi con Lui.
La testimonianza di Gesù, intesa con questa pienezza oggettiva di significato che comporta, tende per iniziativa di Gesù, a trasferirsi nei cristiani.
La testimonianza di Gesù, posseduta e irradiata, assume nel cristiano anche la forma di profezia. Costituisce, così, un messaggio che, sotto la spinta dello Spirito, parte dal cristiano e raggiunge gli altri, anche i lontani”.
La speranza oggetto della nostra testimonianza
La riflessione di padre Vanni ha evidenziato che “la testimonianza di Gesù sfocia nella speranza” ed è la “fede che facendoci accogliere Gesù ci orienta verso il futuro, ci spinge irresistibilmente a sperare, a guardare in avanti e a orientare tutta la nostra vita in questa prospettiva e a testimoniarla”.
Lo stesso “fascino di Gesù che si fa sentire in tantissime persone, anche apparentemente non credenti, è un germe fecondo di speranza.
La nostra testimonianza, la nostra profezia faranno sviluppare questo germe, lo faranno crescere, contribuiranno a farlo fiorire. E allora – è la nostra speranza e testimonianza più bella – saremo nella stessa tenda: il Padre, il Figlio e lo Spirito e tutti noi”.
Francesco Perez