Ha compiuto 80 anni il calcio in Italia. Decisamente pochi, in una prospettiva storica. Decisamente tanti per marcare epoche, mentalità, organizzazione, cultura. Così nella società, altrettanto negli undici in campo e fuori. Tra le tante cesure, una appare lampante: fortemente radicato in provincia, espressione di squadre come Pro Vercelli, Casale, Novese, il calcio oggi è sempre più ad appannaggio di squadroni metropolitani. Raro veder trionfare un Cagliari anni ’70, un Verona anni ’80 o una Sampdoria anni ’90. Così come ancora più da paesaggio fantastico, adesso, è pensare a un Rimini nella massima serie. Se qualcosa si poteva sperare quando c’era Lui, Vincenzo Bellavista, la realtà parla di campionato di Prima Divisione, ovvero la vecchia serie C. Rimane un campionato di A che, per quanto Sacro romano impero di un’elite (le sette sorelle sono rimaste due), nei suoi 80 anni di storia ha avuto per protagoniste numerose provinciali. Non semplici comprimarie per far arrivare il girone alla cifra delle 16 o 18 squadre, bensì piazze dove a calcio si è giocato per davvero. Lo testimonia il libro di Claudio Ferretti 80 anni di Serie A (Lettere, 2009, euro 25,00), che ripercorre la storia dei 60 club che hanno calcato almeno una volta la massima serie. Su alcuni non vale neppure la pena di soffermarsi, i nomi parlano da soli (Milan, Inter, Juventus, Fiorentina). Di altri, invece, si sono perse le tracce, momenti di gloria ben custoditi nella storia e oggi forse sbiaditi da un’attualità che lascia poco spazio ai sogni. Prendiamo una società a un centinaio di chilometri e poco più da Rimini, la Spal: ha allevato fior di giocatori come Capello, Picchi, Reja. Addirittura sfiorato la vittoria in coppa Italia nel 1965, sconfitta dal Napoli. Eppure oggi vivacchia nei bassifondi di C, dopo aver conquistato la categoria solo per le disgrazie (vedi la voce fallimento) altrui. E la Romagna in A? Le note sono dolenti. Per paradosso il Rimini, malgrado la lunga storia alle spalle (gli inizi sono nel 1912), non vi ha mai messo piede, a differenza di un Cesena dal passato più giovane (1940 ad opera del conte Rognoni). Il problema è che oggi arrivare in alto è sempre più dura. Il sistema rispecchia la ripartizione del mondo: chi ha già tanto ha ancora di più e viceversa. “Si calcola che in termini di ricchezza televisiva il rapporto tra grandi e piccoli club sia in Italia di 7 a 1, quando in Inghilterra è di 4 a 1”, scrive Ferretti. Dura sognare se la realtà è questa.
Filippo Fabbri