Tra ventena e Tavollo, tra autostrada e Ferrovia, si sviluppa il territorio fisico della parrocchia di San Benedetto, padre d’Europa, a Cattolica. Una parrocchia tutta nuova, non solo per la sua recente costituzione (1979), ma anche e soprattutto per il suo rapido sviluppo urbanistico e conseguente insediamento di nuove famiglie.
Don Serafino Pasquini è parroco dal 1992, successore di don Pasquale Merli e del “fondatore” della parrocchia don Pier Alberto Sancisi.
Don Serafino ha appena compiuto i 75 anni canonici previsti per il “pensionamento” dei preti. I giornali locali, in un primo tempo, hanno annunciato le sue dimissioni, poi, ultimamente, hanno parlato della sua disponibilità a continuare il servizio di parroco.
E dunque, don Serafino, come stanno le cose?
“Le cose stanno che, secondo il diritto canonico, io dovrei lasciare ad altri il mio ministero di parroco, ma secondo le esigenze pratiche sarebbe bene che io restasse ancora un poco. Così il Vescovo mi ha pregato di restare e io penso proprio di non poter dire di no ad una richiesta così accorata del mio Vescovo. Certo non farebbe male un po’ di aiuto”.
Io so che i tuoi parrocchiani ti stimano molto e si trovano molto bene con te. Allo stesso tempo tu sei ancora molto bene in forze per poter dare il meglio ai tuoi cristiani. Ma questa parrocchia è davvero molto impegnativa?
“Il primo dato che può indicare la complessità di questa parrocchia è il dato anagrafico: siamo passati dai 2500 abitanti degli inizi ai 5000 attuali, con 2200 nuclei familiari circa. Sul territorio della parrocchia inoltre sono presenti diverse strutture civili e sociali: il cimitero, l’ospedale civile, i vari campi sportivi, le scuole medie e una sezione delle elementari, un grande centro commerciale e, in fase di ultimazione, un centro polivalente con multisale per cinema, negozi, attrazioni e altro.
Si pensi inoltre alla realtà sociologica: famiglie nuove che hanno bisogno di tempo per radicarsi sul territorio e sentire l’appartenenza a questa comunità, sia civile che religiosa”.
Al suo costituirsi in nuova parrocchia ci sarà pur stato un certo numero di persone disponibili a collaborare?
“In realtà, come si è trattato di costruire dal nulla tutte le strutture parrocchiali, così si è trattato e si tratta tuttora di rendere la gente consapevole e responsabile della nuova appartenenza e della nuova parrocchia. La maggior parte delle persone già legate alla vita parrocchiale, in particolare gli appartenenti ai vari organismi, sono rimasti legati alla loro vecchia parrocchia d’origine, cioè a S. Pio V. Le difficoltà, quindi, per far crescere altri soggetti disponibili ad assumersi delle responsabilità nella nuova situazione, sono rimaste tutte”.
Con tali premesse, come cerchi di portare avanti un lavoro pastorale che raggiunga l’obiettivo di costituire una comunità di fedeli più compatta, consapevole e corresponsabile?
“È evidente che bisogna lavorare molto sulle relazioni, sulla conoscenza reciproca, sulla partecipazione. Per fare questo mi affido, in primo luogo al calendario liturgico, che ci offre le occasioni per incontrarci, per conoscerci, per amalgamarci. Ci offre l’occasione per pregare insieme: si pensi al mese di maggio, che per diversi anni si faceva anche nei vari quartieri; o si pensi ai pellegrinaggi a piedi: ogni anno ne facciamo uno a Montefiore e uno a Montalbano, alla Madonna del Mare.
Poi ci sono i momenti ricreativi che, a partire dai bambini, riesce a coinvolgere anche tante famiglie: la tombola prima di Natale, il carnevale, la “focaraccia” di S. Giuseppe… Con la “focaraccia” si raduna una quantità di gente insperata, molta della quale non si vede e non si incontra in chiesa. È un’occasione formidabile per incontrarci, per scambiare quattro chiacchiere e per familiarizzare anche col parroco.
Poi ci sono anche i momenti più impegnativi come la festa del Patrono. San Benedetto lo festeggiamo la seconda domenica di luglio, una data piuttosto infausta per una località di villeggiatura come la nostra, eppure si riesce a coinvolgere una cinquantina di persone nel lavoro preparatorio e tanta gente nel giorno della festa. Come tutte le feste patronali, anche la nostra ha il suo aspetto religioso con la messa al mattino e l’aspetto ricreativo con la festa popolare nel pomeriggio, sul sagrato della chiesa”.
Necessarie le relazioni fra i parrocchiani per costruire una comunità, ma sono necessarie anche le relazioni parroco-parrocchiani. Con quali strumenti o in quali occasioni cerchi di rinsaldare tali relazioni?
“Fin qui sono riuscito a mantenere l’usanza di visitare tutte le famiglie della parrocchia in occasione delle benedizioni pasquali. Impiego circa due mesi, mettendo a disposizione cinque pomeriggi alla settimana. È un’occasione unica per incontrare personalmente tante persone. Purtroppo c’è anche da dire che circa il 30% delle famiglie non sono raggiungibili perché assenti da casa per lavoro o per altri motivi. Sono rari i casi in cui la famiglia rifiuta la benedizione per principi ideologici. Oltre a ciò, come ho accennato prima, ci sono altre occasioni di festa per incontrarci e familiarizzare. Un altro canale privilegiato, anche se ristretto, per incontrare le famiglie è la visita e la cura spirituale dei malati, curata non solo da me, ma anche dai Ministri della Comunione”.
Generalmente un capitolo importante dell’attività pastorale è scritto dall’impegno nella catechesi.
“Da ottobre ai primi di maggio teniamo i corsi di catechismo per i bambini dalla terza elementare alla seconda media. Grazie a Dio mi aiuta un buon numero di catechisti. Il catechismo poi è l’occasione per incontrare periodicamente anche i genitori, soprattutto in occasione della celebrazione dei sacramenti. In estate (generalmente l’ultima settimana di agosto) abbiamo un’appendice al catechismo col campeggio: nel 2009 hanno partecipato ben 72 ragazzi. E anche questa esperienza è possibile grazia alla disponibilità di un buon gruppo di educatori che segue e gestisce l’attività”.
Bambini e anziani sono spesso l’occasione per incontrare e coinvolgere anche l’età intermedia. C’è qualche attività anche per le donne?
“Un gruppo di signore si riunisce due volte alla settimana per eseguire i lavori più vari, a seconda dei carismi di ogni partecipante: chi esegue ricami, chi lavora a maglia coi ferri, chi lavora all’uncinetto, chi fa la sarta… I manufatti vengono poi venduti dalle stesse allestendo bancarelle nei paesi vicini in occasione di feste e sagre. Con tale attività finanziano p. Luigi Kitomari, in Tanzania, sostenendo anche la spesa per una ventina di adozioni a distanza”.
Fin qui ci hai raccontato le cose belle della tua Comunità. Ci sono anche difficoltà e problemi?
“Ad alcuni problemi ho già accennato. Ma ce ne sono tanti altri, come la diminuzione della frequenza alla messa domenicale o al sacramento della Penitenza, l’incostanza negli impegni e nelle iniziative… Tante belle cose, che si sono fatte nel passato, sono andate via via perdendo di entusiasmo e freschezza… Così si è esaurito l’incontro di lettura e riflessione della Scrittura, si sono spenti gli incontri formativi per i ragazzi del dopo Cresima… Si sono svuotati anche momenti ricreativi, molto utili alla nostra giovane parrocchia, come il capodanno fatto insieme o la festa dei nonni nel giorno della Befana… Insomma, se vogliamo enumerare i problemi non finiamo più”.
Noi invece concludiamo qui, con la consapevolezza che non tutto va sempre al meglio. Altrimenti che bisogno ci sarebbe di impegnarsi e ricominciare sempre daccapo?
Egidio Brigliadori