Quando negli anni ’60 il sociologo canadese Marshall McLuhan usava il termine “Villaggio globale” per descrivere il futuro della comunicazione non immaginava certo che la storia gli avrebbe dato così piena ragione e così in fretta. Internet e la sua rivoluzione erano ancora di là da venire, ma la sua profezia si è rivelata assolutamente esatta. Se solo fosse sopravvissuto qualche anno avrebbe visto come tutto oggi si è mondializzato: dal latte in polvere alle camere in legno di noce, dalle scarpe da tennis ai videogiochi. Fino ai mercati finanziari, il lavoro, l’informazione, la cultura… e la povertà.
È recentissima l’immagine dei pastori Masai, isolati nell’immensa savana, che comunicano con le loro banche lontane tramite il cellulare… Ogni situazione che accade riguarda ugualmente l’indio boliviano, il metalmeccanico di Termini Imerese e la casalinga giapponese.
L’educazione, la politica, le comunità devono fare i conti con questa realtà globalizzante, non possono rimanere alla finestra, perché viviamo, scriveva il teologo Ernesto Balducci, “in un’era planetaria con una coscienza neolitica”.
Pochi giorni fa in una recita i bambini della mia parrocchia hanno reso questo concetto con rara efficacia, riempiendo in maniera apparentemente casuale una culla di scarti di giochi, vestiti, cibi avariati… Il fatto è che in quella culla c’era un bambino, che alla fine scompariva sommerso da tutta la nostra mondezza. Un’immagine tremenda di quello che sarà il nostro futuro se quest’uomo egoisticamente troglodita non si darà una coscienza etica universale. Altrimenti le ingiustizie renderanno questa umanità ogni giorno sempre più dolente e povera, prima nelle periferie del mondo, poi (ma non accade già?) nel cuore dei Paesi più ricchi.
A noi la scelta di un futuro di fraternità, dove la condivisione dei beni dovrà diventare regola, oppure quella di un mondo ricco blindato, assediato dai nuovi e antichi poveri, sempre più violento nel subire e rispondere alla violenza dei disperati. Anche le violente immagini che ci giungono da Haiti, come quelle di Rosarno, raccontano quello che potrà essere il nostro futuro. E non bisogna essere McLuhan per prevederlo.
Giovanni Tonelli