A dispetto dell’immagine pubblica che ci viene offerta, così “patinata” in tv, elegante, con giacca e cravatta sempre al posto giusto e del colore giusto e il sorriso aperto, il posto di direttore di quotidiano oggi non è da augurare ad un amico. Nonostante lo stereotipo da cartolina, infatti, questi timonieri della carta stampata (ma il discorso può valere anche per i colleghi del piccolo schermo e per certi aspetti per i periodici) mai come ora sono costretti a combattere con un vortice di notizie, con un’esplosione continua di informazioni, esposti ad una fibrillazione continua che rischia di minare anche il fisico, oltre che la capacità professionale di dispiegare le vele al giusto “ritmo” del vento.
Web spartiacque
Le notizie on line sparigliano le carte di tanti “timoni” costretti a saltare sotto l’incedere dei dispacci? “La realtà dell’informazione non è mai stata mobile come ora, con il risultato poco giornalistico che la notiziabilità dell’evento venga sovvertita dall’incalzabilità dell’avvenimento”. Non ha dubbi, mons. Domenico Pompili: i nuovi media ma soprattutto il web, inviano un impulso diverso a tutto il mondo dell’informazione. Il quale sempre più spesso – secondo il direttore dell’Ufficio delle Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana – rischia di rappresentare la realtà in maniera mutilata, di spettacolarizzare eventi poco meritevoli e di strumentalizzare le notizie. “Lo dico da operatore dell’informazione, senza ergermi in cattedra ma completamente immerso in questo agone che comunque cerco di analizzare” è il punto di vista offerto da don Domenico Pompili in occasione della festa del patrono dei giornalisti san Francesco di Sales, organizzata come tradizione dalla Diocesi di Rimini, davanti a un folto pubblico di giornalisti e operatori radio-tv riminesi. “Carità, verità, informazione” il titolo dell’intervento del 47 sacerdote laziale, portavoce della Cei.
“L’informazione cambia, da nazionale a locale. – ha proseguito don Pompili – Il direttore de Le Figaro, ad esempio, era solito dire che per i suoi lettori era più importante l’incendio di un solaio di rue Poissonniers, a Montmartre, che una rivoluzione a Madrid. Periodica o nazionale, a tutta la stampa però capita oggi di dover fare i conti con la domanda: dov’è la notizia?” Troppo spesso, infatti, siamo in presenza di situazioni insignificanti trasformati in eventi, mentre fatti meritevoli di essere raccontati passano tristemente sotto silenzio. L’esempio della pandemia H1N1 calza a pennello. Per settimane abbiamo vissuto nell’incubo giornalistico, bersagliati da annunci choc e notizie circa l’espandersi di questo flagello mondiale, poi – tutt’ad un tratto – i riflettori si sono spenti e il palcoscenico è stato “smontato” senza che lettori e utenti fossero stati avvertiti del finale. Che fine fanno i vaccini acquistati con sforzo economico dal Governo? E chi ha contratto l’influenza?
Per il direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali Cei, l’informazione oggi corre anche il serio rischio di rapresentare in maniera mutiliata la realtà, di offrirne una visione da un angolazione ristretta che può sfociare nella disinformazione. Un altro vizio moderno è la strumentalizzazione, per cui “non si racconta la realtà, ma si sale sul carro di qualcuno. Intanto le amministrazioni investono in uffici stampa più che in altre partite. E accade pure che per anni la Parmalat abbia potuto raccontarci una bella favola che – alla resa dei conti – non corrispondeva alla realtà”.
Anche la Chiesa è immersa in questo agone e fa i conti con l’informazione. Come la Chiesa fa notizia? E come può diventare notizia? “La cultura dominante ha abbandonato le grandi narrazioni a favore delle piccole narrazioni, e ciò vale anche nei confronti della Chiesa, che viene così sezionata dal mondo dell’informazione a partire dai suoi rappresentanti, e finisce per essere identificata solo nel Papa, nel vescovo o nel prete, magari estrapolando solo alcune parole di un intervento articolato”. È il caso di mons. Crociata, il cui intervento è stato riassunto nelle “omelie: insulsa poltiglia”.
Le notizie dunque corrono più veloci dei fatti, la tv trasforma in evento realtà insignificanti e ci si autocensura per obbedire a un padrone. Il giornalista deve, invece, mettersi in gioco e suscitare nello spettatore e nel lettore capacità di critica, quel giudizio, quel discernimento di cui oggi la società che si reputa tanto libera non fa uso.
Tre punti d’incontro
“Se non c’è un coinvolgimento della persona e la capacità di superare quell’autocensura in cui spesso anche l’informatore rischia di incorrere per compiacere le logiche dominanti, la realtà fa fatica ad emergere e rischiamo di scambiare l’informazione con la disinformazione” spiega don Pompili, che invita gli operatori della comunicazione a scegliere la via della parresia invece di quella dell’ipocrisia.
Sono tre, secondo il responsabile comunicazioni della CEI, gli ambiti in cui Chiesa e media possono incontrarsi: centralità della persona, attenzione per le domande di senso dell’uomo, riscoperta dell’originalità dell’altro. Molte sono poi le sfide del mondo multimediale che la Chiesa stessa è chiamata a raccogliere.
“Credo che la Chiesa non debba indietreggiare rispetto alla sua tradizionale capacità di interagire con i nuovi linguaggi, in modo particolare con il linguaggio della rete” ha concluso don Domenico Pompili: “Ciò significa, per la Chiesa, saper stare in questo nuovo mondo digitale senza ingenuità ma anche senza pregiudizi”.
Paolo Guiducci