Di usanze e tradizioni nelle svariate zone d’Italia da tempo si parla, e può parlarsene nei negozi, bar, ristoranti, alla radio come alla televisione, in casa come a scuola, ma cosa significhino queste due parole, cosa siano e a che si riferiscano davvero non lo si sa, così da poterle identificare alla mitica “… araba fenice / che vi sia ciascun lo dice / dove sia nessun lo sa”. Per averne almeno alcune notizie bisognerebbe risalire ai testi e documenti dell’inizio del 1800, quando l’Inchiesta Napoleonica del 1811 costrinse diversi municipi italiani a ricercarne ed individuarne testimonianze, da ben decifrare poi in documenti scritti. A Forlì lo fece, come ottimo scrivano, un certo Michele Placucci che, aiutato da parroci e cappellani di un vasto circondario, ne trasse poi gli Usi e pregiudizi dei contadini della Romagna un testo a quell’epoca unica valida testimonianza storica sull’argomento. Bisognerà poi attendere il palermitano Pitrè per avere, molti decenni dopo, un simile documento, ora però assai più ricco e corposo.
Gli studi di Pitrè
Giovanni Pitrè, medico e folclorista, verso la fine dell’Ottocento, fondò il Museo Etnografico di Palermo, primo in Italia, ed anche l’Archivio delle tradizioni popolari siciliane, di cui pubblicò ben 25 volumi. Dopo di lui, molti studiosi sentirono la necessità di recuperare e fissare, nelle varie regioni, ogni possibile testimonianza folclorica così che, anche se non sempre e non dappertutto, nacquero ricchi volumi di storia delle tradizioni, se pure il materiale trovato poteva essere non sempre preciso né completo.
La Romagna fu scarsa di folcloristi nell’Ottocento, mentre vi furono importanti ricercatori all’inizio del ’900 ed oltre, tra i quali è doveroso ricordare il ravennate Umberto Foschi. Ora però, scomparso con la sua campagna anche l’antico mondo contadino, se ne è andata la memoria di miti, leggende, detti, ed anche qualsiasi altro documento utile per il recupero della nostra tradizione.
Oltre la memoria
Può darsi se ne ritrovino notizie disperse qua e là, e di queste ultime briciole bisognerebbe sempre raccogliere tutto, per fissare poi nella scrittura. Ed è proprio questo il dono che ci regala un libretto dal titolo Distese i cieli e scese (BCC-Gatteo), ideato e poi costruito da Claudia Scipioni, Dirigente Scolastico nell’Istituto Comprensivo di Gatteo, insieme alle collaboratrici Loretta Buda e Narda Fattori. Con grande abilità ed impegno le insegnanti sono riuscite a raccogliere memorie che ora, data la scarsezza di possibili recuperi, diventano preziosità e gioielli da non perdersi. Queste insegnanti, abili ed adatte alla ricerca, sono riuscite ad avere dagli alunni di varie classi elementari e medie, notizie ritrovate e ricavate a fatica dai loro nonni e genitori sulle antiche feste natalizie in uso circa 70, 80 e persino 90 anni fa. Ne è emerso un materiale tutto recuperato dalla memoria personale e quindi autentico ed originale. Come scrive Narda Fattori… “Natale torna sempre ogni 25 dicembre, un tempo come oggi. Eppure l’uomo odierno vi è sempre più smarrito e svuotato”.
È per questo che vale ricordare chi e come siamo stati, censendo i frammenti della memoria, la quale ci può raccontare ancora come il Natale di qualche tempo fa non appariva sfavillante di luci e zeppo di brillantini luminosi fuori e dentro nelle case. La sera di allora si riempiva solo del fumo dei camini, che nelle case non tutti avevano il termosifone. Così il libretto degli scolari di Gatteo ci racconta che, anche senza il cielo pieno di mille e mille luci sfavillanti, il Natale, più di oggi, era pieno di sentimento e di poesia. Scrivono diversi scolari che a mezzogiorno del 25 dicembre tutti si trovavano insieme in famiglia per il pranzo di Natale, che iniziava sempre con i cappelletti in brodo, più o meno uguali per tutti, padroni e contadini, che solo i secondi piatti diversificavano poi le famiglie. Un altro scolaro ci fa sapere che l’Albero allora non si usava. Gli alberi erano considerati troppo preziosi. Sarebbe poi bene ricordare ai bimbi di oggi che i loro bisnonni, nonni ed anche genitori, come regali di Natale avevano soprattutto le solite leccornie, che poi erano cioccolatini, caramelle, fichi secchi, noci e arance. Il panettone, allora, era per le famiglie ricche, che nelle altre case si mangiava la ciambella che, preparata nella spianatoia della cucina, veniva poi portata a cuocere dal fornaio, che spesso aveva il negozio in Paese, a chilometri di distanza. Un altro scolaro, scrivendo a nome del nonno, racconta “Io ero certo che sarebbe arrivato presto Natale quando vedevo, sul banco del negozio della Rosina di Geppino, accanto alla zuppiera delle uova fresche e al vaso dei garibaldini colorati, il panettone Pineta, che aveva l’involucro trasparente. Io lo gustavo solo guardandolo, che tanto sapevo non lo avrei potuto mangiare altrimenti”.
È così che si viene a sapere che la notte della Vigilia ognuno rinnovava un indumento personale, che poteva essere un paio di mutande o una maglietta da sotto, il che portava bene e risparmiava da una malattia. Molti dei nonni ricordano ancora i sermoni che si studiavano a scuola o in parrocchia, e che si sarebbero recitati in casa un momento prima del pranzo di Natale, e poi il pomeriggio li si recitava ancora in Chiesa. Bello il ricordo di un nonno trasmesso dalla penna del nipotino “Attonito il bimbo, con il naso all’insù / attende un segnale dal Bimbo Gesù”.
Molti ricordano che a Santo Stefano, il giorno dopo Natale era solo mezza festa, ed infatti, verso sera, i fratelli più grandi uscivano di casa per andare a ballare nelle “Sale da Ballo”, ma poi a mezzanotte tutti dovevano essere a casa.
Possono essere, questi, ricordi tristi perché parlano, pur senza mai accennarne, di faticose miserie, di rinunce, di piccole felicità. E però i ricordi di chi narra ed ancor più di chi ascolta e scrive, scolari delle elementari e delle medie, sono personali pezzi di storia che ciascun lettore potrà decifrare a suo modo ma che rimarrà sempre una valida ricerca e documentazione di una storia più grande. Per ciò bisogna ancora complimentarsi con gli ideatori del libretto e ringraziarli per essere stati capaci di spingere i ragazzini di oggi a regalare ai nonni la gioventù di ieri e a renderli capaci di raccontarci le loro storie.
Grazia Brevetti Magnoni