Da “Lontano”, parlare di Montefiore vuol dire parlare di Santuario e di Rocca.
Nelle domeniche di maggio, fin dal mattino presto, si possono incontrare numerosi cortei di pellegrini che salgono l’ardita “Pedrosa” per recarsi al santuario di Bonora, sulle pendici del monte Auro. Vengono da Rimini, da Riccione, Cattolica, San Marino… Pregano, cantano, sudano… guardati con ammirazione da chi invece al santuario ci arriva in macchina.
In estate frotte di turisti poliglotti affollano la maestosa e massiccia rocca malatestina coi suoi stupendi panorami sul mare.
Ma Montefiore non è solo Santuario o Rocca, è anche e soprattutto una comunità di persone che vive quotidianamente in quel bel territorio l’avventura dell’esistenza e della vita cristiana. Una comunità vivace, soprattutto in alcune tradizioni o manifestazioni popolari.
E a Montefiore c’è anche una parrocchia, intitolata a San Paolo e affidata attualmente alle cure pastorali di don Piergiorgio Terenzi. Don Piergiorgio, originario di questa terra, è tornato qui undici anni fa, dopo l’impegnativa direzione del nostro settimanale il Ponte ed alcune difficoltà di salute.
“Per una comunità cristiana – ci dice – la sana tradizione può essere come le radici per una pianta: difficile che un albero dotato di buone e profonde radici possa cadere e neppure seccarsi.
Dunque le radici della nostra tradizione cristiana andrebbero cercate molto lontano nella storia, ma a noi basta ricordare quelle buone radici che vivono ancora nella memoria storica dei viventi: gli ultimi parroci, a partire da don Agostino Giungi, morto nel 1946, a don Sisto Quinto Casadei Menghi, a don Pericle Nicoletti, per passare, dopo di lui, ai frati Cappuccini che hanno curato la vita spirituale di questa gente dai primi anni ’60 fino al 1998, col loro ultimo parroco p. Ivo… Partiti i frati è tornato al “natio borgo selvaggio” don Piergiorgio… ma per decenza non diciamo niente di lui”.
Da alcuni documenti storici risulta che nel 1700, prima della soppressione dei piccoli conventi da parte del Papa, c’erano a Montefiore ben tre conventi di frati francescani ed un monastero di Celestini. Solo i Cappuccini sono sopravissuti fino a pochi anni fa. Mi risulta però che ancora oggi ci sia una significativa presenza religiosa.
“Sì, una presenza tutta al femminile con le Maestre Pie dell’Addolorata e le Volontarie del Vangelo.
Oggi le Maestre Pie hanno dovuto ridurre la loro presenza attiva in parrocchia e dedicarsi con premura alla cura di anziane signore, ospiti della loro casa. Rimane però ancora molto significativa la loro presenza per il Paese, anche perché la messa quotidiana la celebriamo nella loro chiesetta.
Le Volontarie del Vangelo vivono fisicamente nel convento che prima era dei Cappuccini. Pur avendo una loro vita autonoma, come esige la vita religiosa, tuttavia non si sono mai sottratte alle necessità della pastorale locale: animano la liturgia, visitano i malati e portano loro l’Eucaristia, sostengono ed aiutano il parroco, sono diventate amiche dei montefioresi. È una comunità molto preziosa, anche perché molto giovane e disponibile ad impegnarsi”.
Per la Diocesi, Montefiore vuol dire soprattutto santuario di Bonora. Per i Montefioresi che rilevanza ha il santuario?
“Il santuario e la relativa pietà mariana sono una parte viva della fisionomia della Comunità cristiana di Montefiore. Anche i sacerdoti che hanno retto tale santuario sono stati significativi, a partire dai due fratelli Sanchini, don Pio e don Tommaso, all’indimenticabile don Emilio Maresi, sino all’attuale don Ferruccio… Il detto Ad Iesum per Mariam non è per noi solo uno slogan intelligente, ma una regola di vita cristiana”.
Montefiore e dintorni non ha avuto sorte diversa di altre località vicine: dal dopoguerra ad oggi hanno visto un progressivo spopolamento delle campagne ed una conseguente soppressione di parrocchie rurali autonome. Esattamente…
“Originariamente la parrocchia di San Paolo era territorialmente più limitata: comprendeva il paese propriamente detto con la zona rurale a nord-ovest verso il Conca e verso Gemmano. Poi a Montefiore sono state accorpate le parrocchie di San Felice e di San Gaudenzo, a Sud e nella zona ai confini della Provincia e della Regione, verso Tavoleto. La cosa non ci pesa più di tanto, solo che, trattandosi di comunità che per secoli hanno vissuto con una loro identità e tradizione, fanno fatica a convergere in una sola comunità. Così più che un’unica parrocchia, la nostra è diventata una confederazione di parrocchie. Purtroppo, rispetto a prima, le due zone di San Felice e di San Gaudenzo sono un po’ più trascurate, anche se è garantita la messa domenicale. Per la fusione reale e l’unità della comunità… c’è ancora molto da fare!”.
Tutto sommato questa comunità, con i buoni precedenti storici descritti, dovrebbe essere tranquilla e positiva.
“Purtroppo, anche se siamo in montagna (si fa per dire), il laicismo è arrivato anche qui. Lo si nota non tanto dai discorsi o dalle parole, quanto soprattutto dai comportamenti, dallo stile di vita. Un sintomo oggettivo grave è quello della scarsa partecipazione alla liturgia festiva e domenicale. Per la maggior parte della gente basta la messa di Pasqua, di Natale e dei funerali per esprimere socialmente la propria fede. Ma vogliamo credere che il santuario della Cella faccia miracoli tutte le domeniche!”.
Se, oggettivamente parlando, ci sono delle discrepanze fra la tradizione, le sue radici ed il vissuto attuale, allora la domanda d’obbligo è questa: che fare?
“Detto nella forma più sintetica possibile, bisogna passare dalla cura della tradizione ad una nuova evangelizzazione. Ben inteso, la tradizione è cosa buona e da non disprezzare; solo che le innumerevoli rivoluzioni sociali e culturali intervenute la rendono oggettivamente fragile e sgretolabile. Dunque ci vuole una nuova evangelizzazione, che riesca a motivare la vita di fede a partire dalla fonte della fede stessa: la Parola di Dio.
Un secondo elemento della nuova evangelizzazione è l’inculturazione della fede, in un mondo che cambia rapidamente, sottoposto a mille sollecitazioni culturali, spesso contrapposte. Oggi il credente deve destreggiarsi intelligentemente in un dedalo intricato di percorsi e di prospettive di vita, per non illudersi di aver trovato la sua chiave magica per la soluzione dei problemi.
Ed un terzo elemento di questo impegno di evangelizzazione è la capacità di tradurre nella vita pratica ciò che ci insegna la fede”.
E questo è possibile a Montefiore?
“Penso e spero di sì. Nell’immediato sembra che la strada più praticabile sia la preghiera e la riflessione comunitaria sulla Parola di Dio della domenica, non tanto per suggerire al prete quello che deve dire nella predica, quanto per indicare alla Comunità quello che deve fare nella vita. Confidiamo, così, che da cosa nasca cosa. Lo Spirito Santo, con i suoi doni, non è facilmente prevedibile. Magari noi miriamo ad Ovest e lui ci conduce a Est”.
Ma per Montefiore entrambe le direzioni sono suggestive: ad Est incontreranno il Cristo “sole che sorge”, ad Ovest è pronta la Madonna ad accoglierli e guidarli. Buon cammino!
Egidio Brigliadori