È rimasto celato per circa 700 anni sotto uno strato di calce, senza che nessuno fosse a conoscenza della sua esistenza. Questa la sorte di un affresco posto nella “cappella invernale” della chiesa di Sant’Agostino, riportato alla luce qualche giorno fa dagli studiosi dell’Arssa (Associazione riminese per la ricerca storica e archeologica). La vicenda ha inizio quando Marcello Cartoceti, presidente dell’Arssa, e il suo staff, avendo studiato a lungo la storia dell’edificio sacro, avevano messo in conto di trovare qualche traccia di affresco nella parrocchia del centro storico riminese, investendo a questo scopo 5mila euro per iniziare le operazioni. A buon rendere: infatti, nemmeno gli addetti ai lavori pensavano di trovarsi davanti a un patrimonio come quello portato alla luce. Via lo sporco, ecco sul muro motivi floreali, vegetali e altre decorazioni, nascosti sotto uno strato di polvere e una leggera mano di calcina, ma molto ben conservati. È ancora presto per datare con precisione gli affreschi, ma le prime indagini fanno pensare a pitture della II metà del Trecento. Nello specifico la decorazione floreale richiama alla mente il motivo delle rose quadripetale peculiare della simbologia malatestiana, ma secondo l’Arssa non si può escludere che gli ornamenti possano risalire anche ad un periodo più tardo, che comunque non andrebbe oltre il 1500. A questo proposito lo storico dell’arte riminese Pier Giorgio Pasini, uno tra i massimi esperti del territorio, ritiene che “le pitture decorative siano di difficile datazione, ma certamente posteriori al Trecento”.
La felice intuizione dell’Arssa ha origine dal contrasto tra l’esterno della cappella delle funzioni invernali, di chiara origine medievale, e l’interno, completamente risistemato nel 1700 e arredato da un pregiato mobilio barocco. L’opposizione tra i due stili ha suscitato la curiosità dell’Associazione riminese, che ha investito il denaro necessario alle prime fruttuose ricerche “Di certo si tratta di decorazioni di grande pregio, che per l’ottimo stato in cui sono conservate rappresentano uno dei più interessanti patrimoni artistici della città di Rimini” commenta Cartoceti “ma siamo solo ad un primo assaggio: abbiamo tolto soltanto piccole porzioni di vernice”. Ora le indagini devono proseguire lungo le pareti, spostando il pesante mobilio barocco, ma soprattutto cercando nuovi fondi con cui finanziare gli studi della “misteriosa ecclesia”. L’Arssa, infatti, in accordo con la chiesa di Sant’Agostino e la Sopraintendenza, sta attualmente cercando una sponsorizzazione per continuare il lavoro intrapreso con i propri finanziamenti. Anche perché, è possibile che nella sagrestia si celino altri affreschi come quelli scoperti “È molto probabile che l’affresco della sagrestia sia molto più grande di quanto appare oggi, e andrebbe recuperato nella sua interezza”.
Chi aveva intuito che in quella zona della chiesa si potessero celare delle sorprese è stato lo storico riminese Angelo Turchini, che già si esprimeva in merito in un saggio contenuto nel volume del 1995, Il Trecento riminese in Sant’Agostino a Rimini (Il Ponte Vecchio edizioni), scritto a sei mani con Claudio Lugato e Alessandro Marchi.
Cartoceti ora guarda al futuro: “ora è necessario valorizzare uno degli ambienti medievali più sconosciuti di Rimini, sperando che la città possa così recuperare uno spazio storicamente e artisticamente molto importante”. L’auspicio è che arrivino nuove campagne di restauro in grado magari di far riemergere altri tesori nascosti.
Genny Bronzetti