La settimana scorsa su un giornale cittadino a grandi titoli e in prima pagina “Ecco il vero Marvelli. Oltre il santino: concreto e fiero avversario dei comunisti”. Quale ricerca storica o ritrovamento di inediti documenti hanno causato lo “scoop” giornalistico e il rovesciamento dell’immagine del beato?
Niente di tutto questo: solo la testimonianza di un vecchio amico di Marvelli, ormai novantenne, che affidandosi alla memoria ricorda i tempi in cui lavorò in Democrazia Cristiana. A così lunga distanza di tempo, al di là della buona fede del vecchio amico, è facile ricordare in maniera imprecisa o sovrapponendo due periodi storici, 1944-46, il tempo in cui visse e operò politicamente Marvelli e il 1947-48, quando Marvelli era già morto (5 ottobre 1946) e si accese una fortissima contrapposizione fra la DC e il PCI, o meglio il Fronte Popolare.
Le imprecisioni storiche
Le imprecisioni storiche sono diverse.
“Marvelli era molto vicino a Gedda e a Rimini li (i comitati civici) ha organizzati per un certo periodo”.
“I comitati civici in città sono nati dai laureati cattolici e dell’Azione Cattolica”.
I comitati civici nacquero il 20 gennaio 1948 (quando Marvelli era già morto da più di un anno e mezzo) per volontà precisa di Pio XII che in un’udienza privata al prof. Luigi Gedda lo pregò di mobilitare tutte le forze cattoliche, senza coinvolgere direttamente l’AC e la DC, per una lotta decisa al comunismo. Il Santo Padre era “in apprensione per la affermazioni di Togliatti al congresso del Partito Socialista, nel quale si dichiarava sicuro della vittoria del Fronte Popolare”. (vedi L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite, ed. Mondadori, pp. 115-116).
Il clima di scontro in quel periodo fu durissimo e l’intelligenza e la capacità organizzativa del prof. Gedda salvarono l’Italia dal rischio di diventare l’ultima appendice dell’URSS.
Frasi come quella citata “Faremo scorrere il sangue dal ponte di Tiberio all’arco” e altre anche peggiori sono proprie di questo periodo, non degli anni in cui visse Marvelli. Le tensioni erano fortissime: paura, minacce, clima da guerra civile. Tutto poteva accadere, anche una eventuale gladio bianca riminese, sulla quale bisognerà fare ricerche che però non coinvolgono Marvelli.
“Rapporti burrascosi fra Marvelli e l’allora sindaco del PCI ingegner Cesare Bianchini” non corrisponde a verità. L’ingegner Cesare Bianchini fu eletto sindaco dopo le elezioni comunali del 6 ottobre 1946: Marvelli era morto il 5 ottobre dello stesso anno (vedi N. Matteini, Rimini negli ultimi due secoli, ed. Maggioli, vol. I, p. 518).
Tralasciamo altre inesattezze storiche come il convegno di Imola del 6 ottobre 1946, che fu un convegno interregionale della Gioventù di AC non di comitati civici, che ancora non esistevano; e la presunta testimonianza dell’anziano amico al processo cognizionale di Marvelli, con relativa sorpresa del postulatore per le sue dichiarazioni, che non ebbe mai luogo come risulta dagli Atti del processo dove sono trascritti nomi e testimonianze dei 62 testimoni convocati. (vedi: Sacra congregazione delle cause dei santi, Positio super virtutibus Servi Dei Alberti Marvelli, Roma 1982, pp. 2-17).
Non basta la memoria, anzi una sola memoria, per modificare il volto di Alberto, contraddicendo tutte le biografie di Marvelli, frutto di ricerche e di studi (Massani, Lanfranchi, L’Arco, Codi, Zorzi ecc.) e tutte le testimonianze dei politici che hanno lavorato in DC con Marvelli (Zaccagnini, Della Biancia, Salizzoni, Cananzi, Papaleo, Carasso, dott. Massani ecc.).
L’impegno sociale di Marvelli
L’impegno sociale di Alberto Marvelli si esplica negli anni 1944-46. Il 23 settembre 1944 si insedia la prima giunta del CLN (Comitato Liberazione Nazionale) che riunisce anche i poteri del consiglio comunale. È chiamato a presiederla il dottor Arturo Clari, ultimo sindaco democraticamente eletto prima della dittatura fascista. La nuova giunta è formata da “elementi dei vari partiti politici”, che nel frattempo vanno ricostituendosi. Fra gli assessori c’è anche Marvelli: non è iscritto ancora ad alcun partito, ma gli viene riconosciuto il merito dell’ampio lavoro svolto nell’assistenza agli sfollati. Il nuovo sindaco invita tutti a lavorare “per una progressiva e lenta opera di ricostruzione… in una atmosfera di pace, di tranquillità e di solidarietà umana (Matteini, op. cit., p. 502).
Insieme al governo della Città
È in questo clima di collaborazione che Alberto vive e lavora: poiché i partiti sono tutti al governo, gli urti, gli scontri, pur non mancando sono molto attenuati. Ora tutti lavorano in collaborazione per la rinascita della città: è un governo di coalizione.
Marvelli entra pienamente in questo spirito di collaborazione e di servizio alla città che deve risorgere dalle macerie. Nel pluralismo politico e ideologico, Marvelli avvertiva come decisiva la collaborazione e l’amicizia civile fra tutte le forze per ricostruire insieme la convivenza democratica. Questo suo atteggiamento Marvelli ben lo esprime in una lettera alla signora Delfina Aldé nel 1946.
“Ormai però è tempo di stringersi tutti fraternamente la mano, per procedere all’immenso lavoro che ci attende in tutti i campi della vita sociale e nazionale. Rifare le coscienze, sgombrare le macerie morali da tanti cuori traviati, trovare finalmente la vera carità che ci faccia sentire fratelli gli uni con gli altri, che sappia indicare ai ricchi la strada per andare incontro ai poveri, per difendere, con la verità e l’onestà, la libertà, la democrazia, la civiltà cristiana” (A. Marvelli, Diario e lettere, editrice san Paolo, pp. 166-167).
Uomo del dialogo e della collaborazione
Marvelli è l’uomo del dialogo e della collaborazione: fermo e deciso nei suoi principi anche politici, non fu mai tenero verso i comunisti ed espresse giudizi severi sul loro operato. L’atteggiamento di Marvelli è sintetizzato così dal prof. Piergiorgio Grassi: “Marvelli, che aveva forte il senso della propria identità religiosa e politica, e che non intendeva, nel suo lavorare gomito a gomito nell’immediato dopoguerra con uomini che partivano da presupposti teorico-pratici radicalmente diversi, indebolire la propria fedeltà, venendo meno all’integrità dogmatica o operando riduzioni di ciò che riteneva dovuto alla verità, intendeva però mettere in conto anche il riconoscimento che l’altro, l’avversario politico, ha il diritto di esistere e a lui va offerto il senso dell’amicizia e della cooperazione. Marvelli aveva fatta propria la persuasione che esista una unità degli uomini più primitiva e più radicale di qualsiasi unità di dottrina e di pensiero ed è l’unità della natura umana e delle sue inclinazioni originarie. Di qui la ricerca delle condizioni per garantire un’amicizia civile anche quando l’avvio della guerra fredda spense gli entusiasmi della liberazione, facendo affiorare divisioni molto profonde non solo politico-programmatiche, ma legate a divaricate e alternative visioni del mondio” (A. Marvelli, Fedeltà a Dio e alla storia, ed. Messaggero Padova, pp. 209-210).
La testimonianza di Della Biancia
Naturalmente lo scontro politico si riaccendeva soprattutto in vista delle competizioni elettorali (2 giugno 1946 referendum per la Repubblica e la Costituente; 6 ottobre 1946 per eleggere democraticamente il primo consiglio comunale). Ma anche in queste situazioni di scontro frontale Marvelli manteneva calma e fermezza nella difesa dei suoi principi; non trascendeva mai; non si lasciava prendere da faziosità. Anche nella partecipazioni ai comizi, di fronte all’ostruzionismo dei comunisti, riusciva sempre a trovare il tono giusto e convincente. Per questo l’amico Giorgio Della Biancia, che spesso lo accompagnava nei comizi potè dire di lui “La sua parola non era solo quella di un propagandista democristiano, ma la parola del cristiano, che tutti unisce in un unico amore. La sua parola era valorizzata dalla sua vita, che mai aveva deflettuto da quei principi che egli divulgava fra il popolo. Per questo non aveva nemici, neppure in politica” (F. Lanfranchi, A. Marvelli ingegnere manovale della carità, ed. San Paolo, p. 187).
Il manifesto della cellula comunista
Che tutti lo amassero e riconoscessero in lui un amico prova ne è il manifesto funebre che la cellula dei comunisti di Bellariva nel quale scrissero “I comunisti di Bellariva si inchinano riverenti e salutano il figlio, il fratello, che tanto bene ha sparso su questa terra” (Lanfranchi, op. cit., p. 212).
In conclusione
Sono passati oltre sessant’anni dalla morte di Marvelli. Il personaggio appartiene alla storia e non più alle storie e ai semplici ricordi pur di importanti testimoni. Chi vuol scrivere di storia sarebbe bene ormai che affrontasse i temi con il dovuto rispetto e con seria documentazione. Se poi si vuol fare politica con la storia di ieri è bene ricordare il detto “Gioca coi fanti e lascia stare i santi”.
Giovanni Tonelli