Dal 5 dicembre al 6 gennaio si svolge al Palazzo del Podestà, a Rimini, la mostra dei presepi dal mondo. Organizzata dalla Caritas diocesana e dalla Migrantes, la settima edizione concentra la sua attenzione sulla famiglia. “Viviamo un momento di grande difficoltà per i nuclei familiari, specialmente quelli immigrati, emblema della famiglia di Gesù che deve lasciare tutto per fuggire in un mondo nuovo, dove sarà chiamato straniero”, spiega Vasile seminarista rumeno in servizio presso la Caritas diocesana, che ogni anno coordina l’attività.
La mostra dei Presepi dal Mondo ci mette davanti alla famiglia in fuga, rappresentata da icone, quadri e da un’esposizione di nuclei familiari in costume provenienti dai paesi di origine degli immigrati. Quest’anno i presepi non saranno suddivisi per continenti. “Con questo gesto vogliamo comunicare che non importa il colore della pelle o il paese di provenienza, se sei ricco o sei povero. Davanti a Cristo siamo tutti uguali. È un modo per rappresentare un mondo dove non sono presenti né invidia né sofferenza; un mondo senza differenze dove l’unica cosa che importa è la persona”, continua Vasile. Un piccolo gesto concreto per mettere in pratica quello che spesso rischia di rimanere soltanto una parola, cioè l’unità tra le persone. La mostra accoglie più di 200 presepi, di cui trenta costruiti artigianalmente dai gruppi di immigrati. “Per noi partecipare a questa iniziativa è molto importante – spiega Rosaria della comunità peruviana che è presente dal 2005 – soprattutto per il suo significato religioso. Noi, infatti, prepariamo la venuta del Signore. Prendere parte a questo evento è un modo per rafforzare la nostra fede”.
Il presepe peruviano è realizzato da una ventina di persone della Hermandad del Nostro Signore dei Miracoli. “Ognuno porta la sua idea, poi si lavora insieme. Ogni anno rappresentiamo una regione. L’anno scorso era l’Amazzonia, quest’anno facciamo la costa. Molti elementi che compongono il presepe li portiamo dal Perù. Quando qualcuno fa un viaggio già pensa a cosa potrebbe servire. Per costruire il presepe sono necessario 2-300 euro così, prima dell’inizio della manifestazione, la comunità realizza un’attività per reperire i fondi necessari all’acquisto del materiale”.
Dominique, cuoco alla mensa della Caritas, invece, il presepe lo prepara da solo perché è l’unico senegalese cattolico a Rimini. “In Senegal -racconta- i cattolici sono solo il 6%, la maggior parte del paese è mussulmana (90%). Io partecipo a questa iniziativa perché sono un immigrato e sono cattolico; lo faccio per la mia fede, faccio sempre il presepe anche a casa mia. Cosa ci metto di nuovo? Dipende dagli anni. Ogni volta cerco di inserire qualche elemento diverso. Quando vado al mercato, nei negozi, cerco sempre qualcosa che mi potrà servire per il presepe. Del mio presepe voglio far conoscere il contesto rurale del Senegal, con statuine di animali, contadini etc. Il presepe in sé ha lo stesso significato per tutti, cioè la nascita di Cristo Salvatore, però ogni nazione poi aggiunge gli aspetti della sua cultura e del paesaggio”.
Alla mostra partecipano anche quei paesi dove la tradizione del presepe non è quella più sentita. Una di queste è la Romania, dove la nascita di Gesù è rappresentata attraverso la simbologia iconografica. Il centro è la stella che aiuta ogni credente a trovare Gesù che è nato, così come la stella ha aiutato i Re Magi. In Romania, nella notte di Natale si annuncia la nascita di Gesù attraverso i canti che la sera vengono intonati dai bambini e che continuano fino al mattino con i gruppi di giovani che vanno di casa in casa cantando le ’coline’ (canzoni che parlano della nascita e di avvenimenti successivi). Il Presepe in Romania esiste, ma è preparato solo dai fedeli di rito romano.
Ogni anno la mostra dei Presepi viene visitata da circa 20 mila persone. “Vedere questa mostra per me ha più significati. -racconta Georgiana che lo scorso anno ha partecipato da protagonista insieme ai bimbi rom del Centro Educativo Caritas – Prima di tutto c’è un aspetto di conoscenza dell’altra cultura, il suo modo di vivere il Natale. Capire l’importanza e l’impegno delle persone di rappresentarsi attraverso un unico simbolo ed apprezzare la visione altrui. Inoltre vedere paesi diversi, comunità diverse, che hanno a cuore lo stesso simbolo, dimenticandosi, per un attimo, della propria individualità, e pensando alla collettività, mi emoziona, mi fa capire che i muri delle differenze si possono abbattere, basta volerlo”.
Letizia Rossi