“Domenica Nera” ha intitolato Claudio Paglieri un bel romanzo sul calcio. Chissà quale nome darebbe alla vicenda della sua famiglia Gabriele Paparelli. Solo che il suo non è romanzo, ma un fatto di cronaca sportiva collimato con un omicidio. Quello del padre, Vincenzo, andato all’Olimpico, insieme alla moglie Wanda, per vedere il derby che vale una stagione. Una stagione sì, la vita proprio no. E invece succede proprio il contrario. Prima della partita la zona dello stadio diventa un ring tra bande rivali. Il peggio però avviene dentro: un razzo parte dalla curva sud romana, si fa 200 metri di traiettoria, finisce nell’altra curva e colpisce il meccanico di 33 anni Vincenzo Paparelli, che se ne stava seduto a mangiarsi un panino in attesa della partita. Sarà il primo omicidio dentro uno stadio, purtroppo neppure l’ultimo. La gara incredibilmente si giocherà lo stesso come se nulla fosse accaduto, proprio in quello stadio che ne sospenderà una per una infondata voce sulla morte di un ragazzo. Nulla però sarà come prima. Soprattutto per la famiglia Paparelli. Quel giorno Gabriele, allora aveva otto anni, sarebbe dovuto andare allo stadio coi genitori. “Troppo pericoloso, oggi si menano… Papà vi porta la prossima domenica per Lazio-Juve…”, ricorda Gabriele. Lo fa nel bel libro di Maurizio Martucci Cuore tifoso (Sovera Multimedia, 2009, pp. 230, euro 16). Un racconto che dà sfogo a anni di sofferenza vissuti nel privato di casa, atti di autentica umiliazione quotidiana.
“Un razzo ha distrutto la mia famiglia – racconta il figlio – e oltre al dolore della morte, per vent’anni abbiamo subito minacce di ogni genere. Siamo stati costretti a cambiare casa e quartiere subito dopo la tragedia. A scuola appena mi voltavo, trovavo il banco o il quaderno imbrattato con 10-100-1000 Paparelli, slogan che campeggiava in tanti luoghi della città. Per anni ho girato in motorino per le strade di Roma con una bomboletta spray sotto il giubbotto per cancellare quelle scritte dai muri… Abbiamo vissuto come all’inferno”. Proprio di recente su quella vicenda è tornato uno dei presenti a quella partita, Sergio Santarini. Era il capitano di quella Roma, uno che a caldo di quei fatti allora ebbe una dura presa di posizione contro i suoi tifosi.
“Mi sembrava assurdo giustificare persone che andavano allo stadio col bazooka – ricorda oggi il giocatore riminese – non tutto il tifo organizzato era così, tuttavia pensavo, e tuttora penso, che bastava una mela marcia per bacare il tutto. Per questa esternazione chiesero la mia destituzione da capitano, Liedholm però fu deciso finché Santarini rimane alla Roma avrà la fascia. Ricordo che il capo degli ultras, un certo Terenzi, prese posizione contro di me. Anni dopo incontrandomi per strada mi ha dato ragione, scusandosi”.
Filippo Fabbri