Io porto colui che mi porta!: ecco il miracolo più grande compiuto dalla beata Elisabetta Renzi (1786-1859).
L’aforisma, che si pone a metà strada fra l’annuncio profetico ed il dato esistenziale, testimonia il carisma straordinario di questa giovinetta, figlia delle ultime colline di Romagna che si affacciano ridenti e rigogliose sul Mare Adriatico.
Elisabetta nacque, infatti, a Saludecio (RN) il 19 novembre 1786, secondogenita dopo Giancarlo, dalla famiglia mondainese dei Renzi, in un periodo in cui i fervori della prima Rivoluzione Industriale e dell’Illuminismo razionalistico già segnavano la via che il mondo occidentale, fortunatamente e/o sciaguratamente, avrebbe intrapreso di lì a poco.
Si trattò di un passaggio epocale, durante il quale le coscienze si sentivano inquiete e le giovani generazioni, come sempre accade ed accadrà, erano alla ricerca di modelli culturali e morali cui ispirarsi fra il presente ed il futuro.
Pensatori come Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Beccaria, Muratori, Goldoni e mille altri diffondevano il verbo dell’uomo cittadino del mondo (cosmopolitismo), mentre le monarchie aristocratiche europee tremavano al solo pensiero di doversi confrontare per l’ennesima volta, con la crescente ondata rivoluzionaria della borghesia, fondatrice di una nuova politica economica liberale.
Quando Elisabetta compì cinque anni, la sua famiglia (il padre Giambattista ha sposato la nobildonna urbinate Vittoria Boni) ritornò nel vicino ed originario castello di Mondaino (Rn), dove il padre era amministratore del celebre monastero di Clarisse dedicato a S. Bernardino e S. Chiara ed il fratello aveva l’incarico di Priore della Compagnia del Crocifisso.
Sono profondamente convinto che questo rientro sia risultato determinante per la bambina, poiché le sue clamorose scelte future andranno proprio nella direzione paterna e fraterna. All’età di 10 anni venne affidata a quelle monache affinché ne plasmassero dolcemente (Elisabetta riconoscerà più tardi che il regime di clausura era leggero: i parenti potevano far visita liberamente alle ragazze ospiti) il cuore e la mente, mentre la sua prima creatura di fede porterà il nome di “Povere del Crocifisso”!
Il contesto storico
Era il 1796 e le truppe francesi di Napoleone Bonaparte avevano già invaso l’Italia, per “portare” libertà, fraternità ed uguaglianza, e quando giunsero in Romagna il terrore si diffuse anche su queste ridenti colline: a tutti è noto il tragico incendio di Tavoleto (PU) perpetrato dai soldati del generale Sahuguet nel marzo 1797 al grido “Brusésons Tavolon!”, che comportò la morte di ben 22 civili e di un numero imprecisato di donne, murate vive in una grotta, che ancora attendono, dopo oltre due secoli, di tornare alla luce e di ricevere degna sepoltura.
I sacerdoti delle parrocchie chiamarono a raccolta i fedeli, suonando le campane a martello e dando luogo al fenomeno dell’Insorgenza, illusorio tentativo di resistenza contro Napoleone, mentre nelle case si pregava e si invocava la protezione divina contro quel flagello di memoria biblica.
Il crocifisso miracoloso
Ogni Comunità possedeva il proprio Santo Patrono, cui affidarsi nei momenti di pericolo, ma Mondaino venerava un antico Crocifisso ligneo (forse di età malatestiana sigismondea) divenuto miracoloso nel 1560, quando staccò la mano destra della croce per assolvere i mondainesi dalle loro colpe e da certi atteggiamenti ideologici e politici non sempre coerenti.
E di quel Crocifisso, come dicemmo, era Priore Giancarlo Renzi, fratello di Elisabetta.
Saranno state le preghiere, sarà stata la protezione divina, saranno state le monete d’oro offerte ai Francesi, ma la conclusione è che Mondaino non subì la sorte di Tavoleto e di altri paesi e città di Romagna (vedi quadro ex-voto).
La gioia per lo scampato pericolo dovette essere molto forte ed altrettanto il desiderio di ringraziamento, anche verso quel Crocifisso e tanto più per i Renzi, che già avevano goduto qualche secolo prima del suo potere taumaturgico.
A tal proposito ricordo molto bene di aver notato, fra gli ex-voto malamente contenuti in un sacco di plastica in canonica, un vistoso anello d’oro che portava incastonata una grande pietra di colore verde donata dalla famiglia Renzi, molto probabilmente appartenuta alla nobildonna Vittoria Boni, madre di Elisabetta (ma potrebbe essere appartenuto anche a Elisabetta negli anni attorno al 1810, quando fu costretta a tornare in famiglia).
Ecco, allora, come ho già scritto nel mio libro Il Crocifisso miracoloso che la celebre folgorazione provata da Elisabetta bambina di fronte al corpo morente del Cristo, andrebbe ascritta non al grande Crocifisso presente nel coro del monastero (oggi nel mondainese convento di Monte Formosino) ma piuttosto a questo della Chiesa Parrocchiale di S. Michele Arcangelo!
Tra casa e monastero
Così Elisabetta trascorse l’adolescenza fra casa e monastero, ma quando compì 21 anni sentì il desiderio di una vita religiosa maggiormente fondata sulla meditazione e dunque il 25 settembre 1807 decise di trasferirsi nella fredda Pietrarubbia, alle falde del Monte Carpegna, entrando nelle Agostiniane.
Tale decisione fu sicuramente dovuta all’influenza del celebre sacerdote marignanese don Vitale Corbucci, suo confessore spirituale, che a sua volta si era portato su quelle aspre pendici, dalle parti di Pennabilli.
Per tre anni la giovane sembrò aver trovato la sua condizione ideale di fede, ma il Direttore di Milano, il 25 aprile 1810, approvò la soppressione di monasteri e conventi e così per Elisabetta giunse il momento di tornare a Mondaino, presso i genitori.
Furono anni di incertezza, ma anche di benessere, portati in Italia prima dall’Impero Napoleonico e poi dalla Restaurazione asburgica successiva al Congresso di Vienna. Elisabetta cercava di svagarsi, di isolarsi per meditare, forse non sapeva più che fare, ma due avvenimenti divennero per lei risolutivi: dapprima la sorella Dorotea muore di malattia all’età di 20 anni, poi la stessa Elisabetta cadde rovinosamente da cavallo mentre compiva una passeggiata nella campagna di Mondaino dove i Renzi avevano numerosi poderi.
Il conservatorio a Coriano
Immediatamente la giovane, sempre sostenuta da don Corbucci, interpretò questi due fatti come segni del cielo e così il 29 aprile 1824 decise di recarsi a Coriano, nel riminese, dove esisteva un “Conservatorio” riservato a ragazze provenienti dalle classi più povere, diretto da don Giacomo Gabellini e da pie donne che si occupavano anche di educazione. Elisabetta capì che quella era la sua vocazione!
Ed in ciò fu spinta a tal punto dall’opera e dal pensiero della grande Maddalena di Canossa, fondatrice delle “Figlie della Carità” che avrebbe voluto annettere il Conservatorio di Coriano a quella istituzione.
Tutto sembrava procedere per il meglio, tanto che il 30 settembre 1826 Maddalena di Canossa, nel corso di un pellegrinaggio a Loreto, fece visita alla Comunità corianese: “Trovai una comunità di angeli. Di molto spirito interno e che sono di tale compostezza e raccoglimento in chiesa che mi servono di confusione e di edificazione”. Queste le sue commosse parole di ammirazione.
Poi, però le cose si complicarono ed il progetto non andò a compimento, così Elisabetta, forte della sua fede, decise di assumere la direzione del Conservatorio e di procedere autonomamente. Memore del miracoloso Crocifisso mondainese, fondò le “Povere del Crocifisso”: il suo ideale di povertà e di preghiera affascinava le giovani generazioni, come se fosse una novella S. Chiara!
Erano anche gli anni in cui muoveva i primi passi la nuova pedagogia, che vedeva nel fanciullo il centro del mondo educativo, e così Elisabetta, anticipando tutti ancora una volta, compì un nuovo miracolo: nel 1839 creò le “Maestre Pie dell’Addolorata” e fu tutto un fiorire di nuove fondazioni: Sogliano al Rubicone, Roncofreddo, Faenza, Savignano al Rubicone e finalmente, nel 1856, Mondaino; per l’occasione palazzo Renzi venne abbellito con scene dipinte dai celebri Romolo Liverani e Antonio Mosconi, ispirata all’Antico Testamento, in particolare alle mistiche nozze ed al grappolo d’uva (il Cristo) portato con sé da Giosuè dalla Terra di Canaan.
La contestazione
Qui, tuttavia, l’attendeva un’amarezza inaspettata, poiché nel frattempo il Paese era diventato liberale, mazziniano e filogaribaldino: i genitori dei bambini affidati alle Maestre Pie ne contestavano i metodi educativi ritenuti troppo rigidi e severi.
Ma Elisabetta seppe resistere ed imporsi, redigendo nel 1858 un ultimo e definitivo Regolamento delle “Maestre Pie dell’Addolorata”, raccomandando loro di avere sempre il Crocifisso a portata di mano come il viatico contro ogni difficoltà.
Ormai aveva 72 anni e da tempo l’affliggevano insopportabili mal di gola, che ben presto si rivelarono una forma di tubercolosi. La sua sofferenza era massima, ma fino alla fine conservò lucidità ed energia, che le consentirono , spirando, di pronunciare quel suo famoso “Io vedo, io vedo, io vedo!”, che completava meravigliosamente il significato dell’iniziale “Io porto Colui che mi porta”! Era il 14 agosto 1859. Da allora il miracolo si ripete quotidianamente nelle mille sedi che le Maestre Pie hanno aperto nel mondo, dall’Europa alle Americhe, dall’Africa all’Asia, sempre mirando a donare con generosità sorrisi e certezze in nome di Madre Elisabetta.
Elisabetta beata
Il 18 giugno 1989 Elisabetta Renzi è stata beatificata d papa Giovanni Paolo II nella Basilica di San Pietro a Roma, dove a migliaia si erano dati appuntamento parenti, Maestre Pie, fedeli e cittadini dei paesi in cui il suo insegnamento continua più vivido che mai.
Di tutto ciò saremo testimoni nella grande celebrazione che il Vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, terrà a Rimini nella Chiesa Cattedrale il 21 novembre a conclusione dell’Anno Elisabettiano, nel 150° anniversario della nascita al cielo della Beata Elisabetta Renzi.
Angelo Chiaretti