Ogni anno in Italia l’ictus colpisce 200mila persone, di cui 40mila tornano alla casa del Padre a breve termine e altre 40mila perdono del tutto l’autosufficienza.
In Italia, l’ictus, è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e i tumori; provoca il 10-12% di tutti i decessi per anno e rappresenta la principale causa di invalidità.
In Emilia Romagna colpisce ogni dodici mesi 13.500 persone, costituendo un’emergenza silenziosa che riguarda sempre più persone. I casi, infatti, aumentano con l’aumentare dell’età, tanto da essere definita una malattia dell’età anziana.
Non solo morte ed handicap personale, tra le conseguenze, ma anche e costi elevati per la società. In Italia, il costo per l’assistenza al malato, si aggira sui 3.7 miliardi di euro, cioè lo 0.25% del Prodotto Interno Lordo.
Proprio per questo, proprio per cercare di portare alla ribalta questa malattia, il 29 ottobre è stata celebrata la Giornata Mondiale dell’Ictus, al grido di “più informazione e più prevenzione”. Si stima, infatti, che la diagnosi precoce, un trattamento adeguato e la prevenzione possano diminuire del 20-30% il carico sociale ed economico della malattia e ridurre di molto la mortalità: la prevenzione da sola sarebbe in grado di evitare 100mila decessi all’anno.
Che cos’è l’ictus?
L’ictus o “stroke” è un’improvvisa interruzione del flusso sanguigno nel cervello che causa un danno ai neuroni della zona colpita, la cui entità dipende dall’estensione della zona stessa e dal tempo in cui questa rimane priva di flusso sanguigno (ogni minuto che passa si perdono 2 milioni di neuroni e 14 km di fibre nervose). Si può verificare in seguito all’occlusione di un vaso arterioso cerebrale e in questo caso si parla di «ictus ischemico» che rappresenta la maggior parte dei casi, circa l’80%. Nel restante 20% l’ictus è dovuto alla rottura di un vaso intraparenchimale (nel tessuto cerebrale) o subaracnoideo e prende il nome di «ictus emorragico».
L’incidenza età e sesso
L’incidenza della malattia aumenta con l’età, raggiungendo il suo picco massimo sopra gli 85 anni. Ma il 75% degli ictus si verifica dopo i 65. Oltre all’età, si associano all’ictus alcuni altri fattori socio demografici come il sesso maschile, che viene colpito più spesso, soprattutto per quanto riguarda l’ictus ischemico.
Diversi studi a livello internazionale hanno dimostrato che esistono alcuni fattori di rischio per ictus ischemico, alcuni non modificabili (come il sesso, età, la familiarità, fattori genetici, etc..), altri modificabili, cioè passibili di intervento. Fra questi, troviamo ad esempio l’ipertensione (alcuni studi dimostrano che il controllo farmacologico della pressione arteriosa contribuisce a ridurre il rischio di ictus), il diabete (causa l’aterosclerosi e si associa a ipertensione, dislipidemia, obesità), l’ipercolesterolemia, l’uso di alcol e fumo, l’obesità (con indice di massa corporea superiore o uguale a 30).
A questi fattori di rischio se ne aggiungono altri più rari come: pervietà del forame ovale, ipertrofia ventricolare sinistra, infezioni…
Diverso il discorso per l’ictus di tipo emorragico che invece riconosce l’età avanzata, il fumo di sigaretta, l’abuso di alcol, la presenza di aritmie, l’ipocolesterolemia come fattori di rischio maggiore.
Prevenire è meglio
È proprio sui fattori di rischio modificabili che si può agire per svolgere un’opera di prevenzione. Alcuni studi dimostrano, ad esempio, che il consumo di frutta e verdura ha un ruolo protettivo, in particolare uno studio giapponese rivela che un’alta concentrazione nel sangue di vitamina C è associata a minore incidenza di ictus sia per il suo potere antiossidante sia per il maggior assorbimento di altri nutrienti che ne deriva. In generale, una cattiva alimentazione, scarsa attività fisica e uso di alcol, fumo e droghe compongono il quadro di uno stile di vita a rischio, che è bene modificare per prevenire l’ictus.
Romina Balducci