“Ho sempre avuto problemi col cibo. Ho sempre fatto diete, calavo ma una volta terminata ricominciavo a mangiare in modo incontrollato e riprendevo tutti i chili con gli interessi. Cercavo di controllare il cibo che mangiavo ma non ci riuscivo: era diventata un’ossessione. Mangiavo cibo surgelato, uscivo a qualsiasi ora per cercare del cibo, dimenticandomi della mia famiglia, dei miei amici, della mia vita. Ho raggiunto un peso limite, 87 chili e dopo l’ennesima dieta, in cui sono riuscita a perdere 30 chili, mi sono accorta che pur avendo un peso accettabile la mia vita era ugualmente un disastro”.
Questa è solo una delle testimonianze delle tante persone che si rivolgono a Overeaters Anonymous, un’associazione di auto mutuo aiuto aperta a chi riconosce di non avere un sano rapporto col cibo e con il proprio corpo. In concomitanza con la giornata mondiale dell’obesità, domenica scorsa si è tenuta a Riccione la ventesima convention internazionale dell’associazione. Un meeting che ha raggruppato persone provenienti da tutta Europa e dal Nord Africa che condividono l’esperienza del recupero dal mangiare compulsivo, un vero e proprio disturbo del comportamento alimentare poco conosciuto ma molto frequente, diffuso principalmente tra la popolazione femminile.
“Il cibo si carica di significati e funzioni che non gli appartengono, fino a diventare uno strumento di difesa/offesa nei confronti di se stessi e del mondo – sottolinea il dottor Stefano Zucchi, psicoterapeuta specializzato nei disturbi del comportamento alimentare – le abbuffate compulsive sono momenti di totale perdita del controllo sul cibo che provocano forti emozioni negative come senso di colpa, crollo dell’autostima, disgusto, paura di ingrassare e rafforzano un’autocritica già molto accentuata. Si tratta di un problema psicologico molto serio, sottovalutato nelle sue complicanze mediche, che molto spesso non arriva ai sistemi di cura e rimane nascosto per tanti anni, con sentimenti di vergogna, solitudine e impotenza”.
Nemico silenzioso
Sono sessanta i gruppi di Overeaters Anonymous in Italia, dei quali ben tre si trovano a Rimini e uno a Riccione. L’anonimato, la mancanza di un’iscrizione dei partecipanti rende difficile la quantificazione del fenomeno nel territorio riminese: secondo i dati profusi dall’Ausl, sarebbero 600 le persone colpite da questi disturbi, circa l’1-2 per cento della popolazione.
“Mi guardo intorno: l’obesità è la manifestazione palese del disagio, ma ci sono tanti altri modi di occultare questa malattia che vengono passati per cultura, come l’esercizio fisico compulsivo” racconta un membro del gruppo riminese. Un dato che rivela un fenomeno nascosto ma presente nel nostro territorio.
“La società moderna veicola il messaggio che è possibile modificare il proprio corpo a piacimento e che un fisico magro e attraente è segno di successo. Tutti, in qualche modo, assecondiamo questo valore socioculturale, ma le persone più insicure possono essere indotte a vincolare la propria autostima al peso e alla forma fisica; il corpo diventa il modo di definire il proprio sé e stabilire un senso di competenza, valore e controllo sulla propria vita. La realtà è che il nostro corpo è difficilmente modificabile e il controllo assoluto sul cibo e sul peso è impossibile da attuare”.
A piccoli passi
Uscire dall’isolamento per incontrare altre persone che condividono lo stesso problema per riscoprire se stessi imparando un nuovo stile di vita. Questo il principio del programma di recupero dei dodici passi alla base degli Overeaters Anonymous.
“Ognuno impara a conoscere la propria malattia ascoltando l’esperienza altrui, partendo da un atto di umiltà nel riconoscere che da soli non riusciamo a farcela e che abbiamo bisogno dell’aiuto degli altri – spiega un membro dell’associazione – la partecipazione agli incontri è assolutamente volontaria e gratuita, non ci sono iscrizioni o quote da pagare basta avere il desiderio di smettere di mangiare in modo compulsivo per entrare a far parte dell’associazione. In queste riunioni settimanali non ci sono figure professionali, non siamo legati a nessuna terapia di cura, anonimato assoluto”.
L’anonimato degli appartenenti ma non dell’associazione, che vuole fare rete e promuovere una corretta informazione sui comportamenti alimentari, anche attraverso la collaborazione con l’Ausl di Rimini, che ha recentemente istituito un dipartimento che si occupa dei Disturbi del Comportamento Alimentare (Dca).
“Sono due i percorsi proposti, in base all’età del paziente. Se minore di 16 anni viene seguito in neuropsichiatria infantile ma si agisce sempre in equipe” spiega la dottoressa Carla Biavati, dietista dell’Ausl.
Per gli Overeaters Anonymous, invece, il recupero passa attraverso la condivisione del problema.
“Non abbiamo bisogno di diete ma di cambiare il nostro modo di mangiare. Se abbiamo un corpo distrutto dal cibo in eccesso o dalla mancanza di cibo perché denutrito o dall’ossessione a compensarlo con lassativi diuretici o esercizio fisico, dobbiamo cambiare il nostro stile: tanti sintomi ma un unico problema. Il problema è con la vita, il cibo è la manifestazione di questo problema che noi abbiamo. Da questo punto di partenza noi ci impegniamo in un’astinenza che segue un piano alimentare, stabilito con un professionista, al quale cerchiamo di attenerci. A quello ci atteniamo solo per oggi, non pensiamo che sarà per tutta la vita”.
Pensare alla strada da fare tutta in una volta genera sconforto, mentre si può cambiare e migliorare le proprie abitudini a piccoli passi, come dimostra questa ulteriore testimonianza.
“Quando ho raggiunto i 61 anni ero distrutta. Pesavo più di 90 chili nonostante una vita di diete perché non accettavo il mio peso: calavo fino a 29 chili poi li riprendevo tutti. Vedevo gli altri sempre meglio di me. Guardavo sempre gli altri come mangiavano: mi sembravano così liberi, mentre per me era una tale ossessione. La sera mentre i miei familiari erano a letto mangiavo di nascosto. Non sapevo perché lo facevo. Nascondevo le scatole delle cose che mangiavo, era incontrollabile. A 61 anni mi ero arresa, prendevo antidepressivi, avevo rinunciato a vivere, stavo chiusa in casa”.
Poi l’incontro che l’ha riportata alla vita, che le ha fatto capire che “guarire” si poteva.
“Grazie a una mia amica ho conosciuto l’associazione. Qui mi sono riconosciuta come in uno specchio. Affidarmi a Dio, prima non l’avevo mai fatto veramente: cosa c’entrava Dio con questo mangiare senza controllo? Pensavo fosse solo una mia golosità. E invece ho iniziato a vivere veramente tra un pasto e l’altro, ho rimodellato tutto il mio modo di vivere, non solo nel modo di mangiare. Non è più una fatica seguire un piano alimentare, andare ad una festa e non mangiare i dolci. So che è una scelta e sorrido a me stessa, perché posso scegliere un atto d’amore per me, di non mangiare le cose che poi mi fanno stare male. Giorno dopo giorno, sono passati tre anni. Sono nonna e sono felice, ho dimezzato la medicina della pressione, a 64 anni ho ricominciato a vivere, è una gioia. Sono figlia di Dio e non sono una schifezza. Vorrei che chi è nel problema avesse la possibilità di provarla questa strada, basta avere il desiderio di farlo, non ci vuole niente”.
Valentina Ghini