I ragazzi indossano giacca scura e cravatta, i più piccoli sono stretti nel loro grembiule dal colletto bianco. Le ragazze invece sono divise in due ali: in mano fiori bianchi e rossi, a significare castità e martirio. Sono la scorta personale del “don”, lo accompagnano ad incontrare quel Destino con la maiuscola al quale tante volte don Giancarlo ha indirizzato il loro sguardo.
La folla che dall’Arco d’Augusto segue in processione il “padre” di Comunione e Liberazione a Rimini, è un popolo composto, magari con gli occhi lucidi e il groppo che stringe alla gola, ma col cuore gonfio di una certezza: oggi il don può dare del “Tu” al Mistero di Dio. Una conferma arriva da Manlio Gessaroli. Il responsabile della comunità riminese a un giornalista che gli domandava come Cl avrebbe colmato il vuoto lasciato da don Giancarlo, ha risposto: “vuoto? Don Giancarlo ha lasciato un pieno”.
80 anni compiuti lo scorso 10 giugno, da due stagioni alle prese con la malattia, don Giancarlo Ugolini se n’è andato nel giorno di San Francesco circondato da amici, parenti e figli spirituali. Il 4 ottobre era un giorno scritto nel suo destino: nella stessa data, nel 1962, il don teneva il primo incontro di Gs a Rimini. “Il fatto che più mi ha determinato è stato l’incontro con don Giussani” ricorderà in seguito.
I “figli” del Gius lo hanno seguito anche durante l’ultimo viaggio. Ma c’è una città intera a tributargli l’ultimo saluto terreno, cariche istituzionali, politici e amministratori, fino agli innumerevoli ex alunni. Alle 14.30 la piazza del Duomo è colma. I bambini assiepano le colonne laterali all’interno del Tempio. Il servizio d’ordine discreto ma funzionale, con Sandro Ricci, il direttore del Meeting in prima fila. È visibilmente commosso, Ricci, ma non arretra di un centimetro. La bara di legno bianco è adagiata in terra, c’è appena un tappeto ad evitare il freddo contatto con il pavimento. All’Eucaristia per le esequie, accanto al vescovo di Rimini Lambiasi, concelebrano il vescovo emerito di Rimini Mariano De Nicolò, il vescovo di San Marino-Montefeltro, Luigi Negri, e don Julian Carron, il responsabile di Cl. E il presbiterio colmo di sacerdoti uniti al loro confratello Giancarlo, che negli ultimi tempi ripeteva: “Guardo la vita come donata da Dio. Il Signore ha avuto pietà di me e mi ha mostrato misericordia”. Il coro di CL fa salire il canto nella cattedrale, e i fedeli rispondono. “Si può vivere così? Si può morire così? – attacca l’omelia il Vescovo Lambiasi, citando un libro di don Giussani – Due domande folgoranti, una identica risposta di San Paolo: «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore»”. Mons. Lambiasi s’inserisce tra le pieghe della vicenda umana di don Ugolini. Dal “setaccio” emerge la fecondità del suo ministero, una grazia per la stessa Chiesa diocesana. “Tanti sacerdoti del nostro presbiterio hanno riconosciuto e alimentato la propria vocazione grazie alla sua testimonianza e alla sua guida paterna, con cui ha sostenuto numerose vocazioni alla verginità, alla missione in ogni parte del mondo, alla vita contemplativa, provocando tantissimi laici a giocare con la propria esperienza di fede, anche nell’ambito sociale e politico”.
Insegnante, educatore, don Giancarlo con le sue intuizioni ha acceso quell’opera unica che è il Meeting ma anche le scuole della Karis Foundation (dove per anni fu rettore la sorella Gabriella) che raccolgono migliaia di studenti e centinaia di insegnanti. Ma nessuno genera se non è generato. Per questo “non sono queste opere che dimostrano la sua grandezza. – precisa don Carron, il successore del Gius alla guida della Fraternità di Cl – La grandezza di don Giancarlo sta nel riconoscere la sua dipendenza originale, l’essere figlio”. Una figliolanza generata dall’incontro con il carisma di don Giussani tutta giocata nel fascino dell’Avvenimento cristiano, “riconosciuto come rispondente alle esigenze costruttive del cuore umano” ribadisce il vescovo di Rimini. Don Ugolini era un uomo attento e curioso di ogni aspetto della realtà, aveva il gusto delle grandi sfide e amava la bellezza. Il Duomo è pieno all’inverosimile ma regna il silenzio. Don Giancarlo è là, ai piedi dell’altare, pronto a dare del “Tu” al Mistero di Dio. Pronto, in vita come tra le braccia del Padre, a “introdurre alla realtà totale, a provocare incessamente alla libertà”. Lo aveva detto anche nell’ultima intervista rilasciata, don Giancarlo: “La proposta interessante di Cl è offrire la possiiblità di lasciarsi amare dal Mistero. È un Mistero che corrisponde al cuore e che fa percepire il suo caldo abbraccio. Il cuore dell’uomo cerca l’infinito e questo si è fatto presente”. Lui, il don all’apparenza schivo, quasi burbero e invece timido, sempre dietro le quinte, si è fatto compagno di viaggio di un numero sterminato di storie, tante delle quali – con un volto preciso – lo stringono d’affetto e di preghiera. Qualcuno non riesce a trattenere il pianto, ma perché frenarlo? Raccontano gli amici che hanno assistito negli ultimi mesi della malattia, che un giorno ha detto: “Qui c’è un prete che muore da laico, non ho addosso niente, ma anche se non riesco a fare più niente, l’unica cosa che conta è la Sua presenza su di me. essere portato da Lui. E mi porta attraverso le medicine, la comunità di persone, le preghiere che tanti dicono per me”.
Il coro attacca Il nostro cuore non si è perduto, il canto del riccionese Roberto Grotti che al don piaceva tanto, e le parole diventano un inno per l’assemblea: “i nostri passi non hanno smarrito la tua strada”. Ora don Giancarlo “vede compiersi la promessa sulla quale ha scommesso tutta la sua esistenza” conclude don Carron. Don Claudio, don Domenico, don Roberto e gli altri amici sacerdoti si caricano il feretro in spalla, un ultimo abbraccio nell’amicizia e nella fede. Il Duomo raccoglie l’applauso per questo padre discreto e amatisismo, un battere di mani che si ripete all’aperto, sulla via IV Novembre gremita di persone, di tremila “grazie“. Le parole sono di don Oreste Benzi, ma potrebbero benissimo risuonare oggi dalla voce profonda di don Giancarlo: “Un giorno sentirete dire che sono morto. Non credeteci: è una bugia”.
Paolo Guiducci