Il 2008 vede scendere i numeri delle interruzioni di gravidanza in provincia di Rimini.
Sono state 805 le donne che nel corso degli ultimi 12 mesi hanno scelto di abortire, mentre appena un anno prima erano state in 930. Un piccolo successo soprattutto per tutte le associazioni pro-life che operano sul territorio e che costantemente si mettono a disposizione di mamme poco convinte o in difficoltà a dire sì alla vita.
I numeri Ausl
Un occhio più attento ai dati diffusi dall’Ausl di Rimini, seppur con la buona notizia di fondo, porta a delle riflessioni aggiuntive, legate sia all’età delle donne che percorrono questa triste via sia alla nazionalità delle stesse. Numeri a parte, sono gli stessi operatori dei consultori e delle associazioni pro-life a confermare la tendenza. Nel 2008, 366 ivg (interruzione volontaria di gravidanza) hanno avuto come protagonista una donna straniera. Circa il 45% del totale, quindi.
Primo fattore imputato è una situazione economica e sociale non stabile.
“Non hanno i soldi. Hanno già dei figli e non si possono permettere di mantenerne altri” è la voce più ricorrente. Ma è tutto qui?
“Molte ragazze sono straniere e veramente molte non hanno i soldi o vivono situazioni familiari difficili. – spiega Rita Volponi, presidente del Movimento per vita di Rimini – Il nostro compito è quello di accompagnarle in un percorso, non farle sentire sole. Sì, perché spesso si tratta di persone sole che in primis vengono abbandonate dai loro partner. (È anche attivo un numero verde SOS vita 8008-13000 attivo 24 ore su 24 per sostenere le donne in difficoltà)”.
Ma è davvero tutto qui? Bastano le associazioni pro-life a far fronte a una situazione del genere? E anche qualora ci fossero, come ci sono, progetti di aiuto concreto – alle mamme che decidono di non arrendersi – da parte delle aziende sanitarie, non esiste forse una precisa responsabilità politica e sociale che porta nella direzione delle grandi scelte di “sistema”?
Ma torniamo agli spiccioli dati.
Delle 805 ivg del 2008, 269 hanno coinvolto donne residenti in provincia, 170 fuori provincia, e come anticipato in precedenza: 366 straniere.
I numeri maggiori (182 ivg) si registrano tra le donne di fascia di età compresa tra i 30 e i 34 anni, seguono le 180 donne di età compresa tra 35 e i 39 anni, e le 170 di età compresa tra i 25 e i 29 anni. 432 donne (più della metà) sono donne in età matura (tra i 24 e i 39 anni), quindi. E dalle più giovani in su, incontriamo: 6 ragazze di 17 anni, 7 ragazze di 18 anni, 15 ragazze di 19 anni, 145 donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni, 83 di età compresa tra i 40 e i 44 anni, 16 di età compresa tra i 45 e i 49 anni, 1 di oltre 50 anni. Si tratta, per poco più del 36% (36,02%), di donne coniugate, 290 in valore assoluto. Il 57.64%, poi, erano occupate, il 61,59% delle quali erano diplomate o laureate. 4 ivg sono avvenute, infine, attraverso la pillola Ru-486.
Maternità difficile
“Maternità difficile” è il nome del servizio messo in piedi dall’associazione Papa Giovanni XXIII dal 1997.
“In realtà – spiega Enrico Masini, animatore generale di “Maternità difficile” – questo tipo di sensibilità esisteva già in seno all’associazione. Poi 12 anni fa l’incontro tra me e don Oreste per riflettere su queste tematiche in un momento particolare. Quando, cioè, don Oreste stava cercando di entrare negli ospedali e nei consultori per portare una voce «altra». Un momento di raccolta, quindi. Poi siamo partiti con questa avventura, eravamo una trentina di persone”.
Dodici anni di attività, una presenza costante. Dall’alto della sua esperienza come legge i dati che sono stati diffusi dall’Ausl?
“Ci sono vari punti sui quali riflettere. Il dato sulle straniere, in particolare rappresenta una drammatica ascesa cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Intanto è necessario dire che il fatto che tendenzialmente crescono è legato al fatto che crescono anche gli ingressi di donne straniere nel nostro paese. Ciò non toglie che gli aborti praticati dalle non italiane sono dell’ordine di 5-6 volte in più rispetto alle italiane”.
Da cosa è dovuta questa tendenza?
“Ci sono diverse motivazioni. Da una parte esiste il problema della mancanza della residenza e ancora più spesso del permesso di soggiorno che impedisce loro di entrare in sinergia con i servizi pubblici, generalmente indirizzati alle donne residenti. Nessun limite da «residente» per le interruzioni di gravidanza: quelle possono farle tutte”.
È un paradosso.
“Sì, è un triste paradosso, aggiungerei”.
Altri punti problematici? La casistica più diffusa?
“Il problema vero e generalizzato, direi, è quello della mancanza di mezzi e di risorse. Molte donne – soprattutto quelle dell’Est Europa – vivono in Italia da sole e può capitare che questi figli nascano da relazioni extra coniugali. Oppure, sempre per le donne dell’Est Europa, si tratta di persone che hanno il domicilio nella sede di lavoro (badanti, soprattutto) che, portando avanti una gravidanza, perderebbero casa e lavoro in un colpo solo”.
Si può generalizzare parlando de «il mondo delle straniere»?
“Assolutamente no. Per esempio per le donne musulmane si può sviluppare un’induzione all’aborto, anche da parte delle famiglie. Tanti i casi di ragazze giovani, soprattutto, costrette dai genitori perché per loro è impensabile avere un figlio fuori dal matrimonio. Per le africane, invece, che hanno più vivo il valore della vita, per le quali è molto importante lasciare a questo mondo un figlio, si sviluppa una situazione diversa. Tendono, infatti, a interrompere una gravidanza se sono giovani, mentre se sono mature e sentono vicina l’impossibilità di poter fare un altro figlio, allora cercano con più impegno di farlo nascere, nonostante si manifestino mille problemi. Direi che intervengono fattori culturali”.
Ecco, il vostro servizio come si coniuga rispetto a queste diversità, a queste complessità?
“I progetti sono mirati, sono sulla persona, di accompagnamento in percorsi lunghi. Ecco perché in questi anni abbiamo accompagnato un numero relativamente piccolo di mamme (un centinaio). Si tratta di un percorso veramente lungo”.
C’è un fenomeno nel fenomeno, qualche aspetto che non riusciamo a cogliere?
“Purtroppo devo dire che sempre più spesso incontro donne che, non dico costrette, vengono indotte all’aborto. Da mariti che non se la sentono, da genitori che, alle più giovani, dicono «ti rovinerai la vita», dallo spettro o alibi della crisi economica e dell’impossibilità di dare a un figlio un futuro degno e rispettabile. In molte si sentono dare «dell’irresponsabile» per la scelta di far nascere un figlio. Questo è un fatto che comincia a diventare fattore culturale. C’è da dire, poi che sono diminuite le ivg nell’ambito dei matrimoni e cresciute quelle nelle convivenze. Segno, a mio avviso, che la sicurezza «familiare» ha un suo ruolo”.
E siamo al giudizio finale. Fatte le dovute eccezioni, lontani da ogni generalizzazione che lettura può darci di questi numeri?
“Questi numeri possono essere letti anche con un segno di speranza. Non per l’apparente diminuzione del numero di aborti, 125, ampiamente compensati dalla massiccia prescrizione di Pillole del giorno dopo (490 nei soli consultori).
Bensì perché finalmente l’ente pubblico inizia a riconoscere il valore positivo della maternità e della vita umana al suo sorgere rendendo conto, seppur timidamente, del numero dei bambini salvati dall’aborto insieme alle loro madri e delle risorse, 160 mila euro, messe a disposizione a questo scopo, molto inferiori a quelle utilizzate per compiere gli aborti, circa 800 mila euro.
Ritenendo tale impegno ancora molto insufficiente, auspico con forza, e con me tutti gli operatori del servizio, che in questo periodo in cui si programma la destinazione delle risorse per il 2010 venga data priorità a questa necessità di vitale importanza”.
Cosa rimane dopo? Che donne rimangono sul campo di battaglia?
“Io non ho mai incontrato una donna che dopo aver rinunciato all’aborto si sia pentita. Non posso dire il contrario. Una donna che rinuncia alla maternità ne porterà il peso per sempre. Mi è capitato di parlare con degli avvocati che mi hanno segnalato come in molte istanze di divorzio, ad anni e anni di distanza, alcune donne portano tra le motivazioni di «rottura» quella di un aborto voluto dal partner. Segno che è una ferita che rimane sempre aperta”.
Un’ ultima cosa: state lavorando su progetti nuovi?
“Sì, una cosa che mi sta molto a cuore: il percorso dell’adozione. Cercheremo con spot, film, incontri pubblici di spiegare che una madre che lascia in adozione il figlio non è una madre snaturata. Purtroppo l’idea comune è che una donna che abortisce è una donna responsabile, mentre una donna che decide di percorrere la via dell’adozione non sempre è vista di buon occhio. Questo è un fattore culturale che tentiamo di cambiare”.
Pillola “del giorno dopo”
490 le pillole “del giorno dopo” prescritte lo scorso anno dai consultori della provincia. 129 delle quali somministrate a giovanissime di età compresa tra i 14 e i 21 anni. Bisogna precisare, però che non sono solamente i consultori a poter somministrare il farmaco. Possono, infatti, anche darlo i medici di medicina generale, i medici di pronto soccorso, guardia medica, liberi professionisti, medici delle U.O. di ostetricia.
Sullo sfondo
Sullo sfondo rimane la vita e la bella vicenda che ci racconta Rita Volponi. “Era di pomeriggio. Una mamma e una bimba bussarono alla mia porta. Le riconobbi subito. La mamma con le lacrime agli occhi e con tanta dolcezza mi diede 150 euro
da consegnare ad una mamma che si trovava in difficoltà, così come una volta si era trovata lei. Non finiva di ringraziarmi per gli aiuti che aveva ricevuto dal Movimento per la vitaed era felice delle scelte fatte”. Sullo sfondo rimane la vita.
Angela De Rubeis