È da tanti anni che abbiamo perso il basso profilo dei nostri genitori, preferendo il concessionario all’officina, il negozio al pellettiere, la boutique al rammendo. Ma con la crisi è necessario cambiare abitudini, mettere al bando lo spreco e diventare più attenti e parsimoniosi. Occorre rinunciare ad un guardaroba all’ultima moda e accontentarsi di risistemare quello dell’anno precedente, assecondando un nuovo modo di pensare che punta alla qualità e non più alla quantità. Acquistare meno e conservare di più, soprattutto se di buona fattura: è questa la nuova tendenza!
Per rimettere a nuovo mocassini e cappotti, ci si affida nuovamente all’operosità degli artigiani riparatori che consentono al cliente di risparmiare e di riscoprire il piacere, troppo a lungo dimenticato, dell’avere cura delle cose. Perché nonostante il portafoglio pianga, avere un aspetto non trascurato e al passo coi tempi è ormai prerogativa della società odierna.
Così mentre l’industria dell’abbigliamento è in crisi, i vantaggi vanno tutti alle sartorie artigianali e se gli affari dei negozi di calzature calano, i calzolai aumentano il loro business. Lo conferma Alberto Guastalla, fino a novembre presidente nazionale del settore all’interno di Confartigianato.
“Sia in Italia sia nel resto d’Europa i calzolai lavorano il 15% in più rispetto a prima della gelata finanziaria”.
Della stessa opinione Rosalba Acquistapace, presidente nazionale Confartigianato sarti.
“Stiamo assistendo ad un importante e non casuale ritorno alle riparazioni sull’abbigliamento – ci spiega – tanto che in alcune città italiane si sono diffusi piccoli negozi di rammendo proprio all’interno dei centri commerciali”.
C’è chi, non solo è contento del mercato attuale, ma nutre buone speranze anche per quello post- crisi.
“Il lavoro non manca e il futuro si prospetta migliore – afferma Giovanni Arrobbio, per 30 anni pellettiere all’ingrosso e da appena un mese calzolaio del laboratorio Modi d’arte, a Rimini – ho lasciato il mio vecchio lavoro perché credo nelle possibilità di questo settore. Del resto, la situazione economica attuale impone al consumatore di rivolgersi a noi artigiani, per riparare scarpe di qualità che non potrebbe mai permettersi nuove. E poi – aggiunge – le riparazioni su ottimi materiali sono, oggi più che mai, convenienti: 12 euro per la risuolatura e da 5 a 9 euro per i tacchi”.
Un mestiere tramandato
Eppure il vento non ha soffiato sempre in poppa; negli ultimi anni, gli artigiani riparatori hanno affrontato stagioni di magra, lavorando all’ombra di un’economia usa e getta e riducendosi all’osso sul territorio provinciale. Ora che il mercato è favorevole e le rammendatrici, i ciabattini e gli arrotini ancora al lavoro, hanno visto aumentare il loro fatturato, tutti si chiedono chi li sostituirà nel prossimo futuro. Nell’era dei laureati e delle professioni intellettuali, la passione per il lavoro manuale degli artigiani sembra destinata a svanire, lasciando dietro di sé un grande vuoto di competenze indispensabili ed uniche nella loro specificità. Il desiderio di imparare da questi professionisti d’altri tempi, in grado di restituire dignità, bellezza e utilità all’usato, non appartiene ai giovani del 2009. A confermarlo è un arrotino 34enne, vera e propria eccezione nel panorama provinciale. Fino all’anno scorso, Alberto Mei, ricopriva un ruolo di prestigio presso un famoso marchio di calzature, poi dopo il crack del novembre 2008, ha deciso di portare avanti il servizio di affilatura a domicilio del padre, ottenendo grandi soddisfazioni e maggiori incassi.
“Le nuove generazioni hanno altre ambizioni, tengono molto all’immagine e sicuramente il mio, non è considerato un lavoro di tendenza. È un mestiere antico, tramandato di padre in figlio ma – tiene a precisare Alberto – nell’immaginario comune, erroneamente legato a stereotipi che non hanno nulla a che fare con i compiti dell’arrotino di oggi”.
Insomma scordatevi urla e biciclette attrezzate. Nel ventunesimo secolo, affilare forbici e coltelli significa lavorare a livello imprenditoriale più che artigianale, sia per le attività commerciali sia per i privati.
“É un mestiere necessario – conclude il giovane – soprattutto in una città turistica come Rimini, dove alberghi e ristoranti hanno continuamente bisogno dei nostri servizi”.
Secondo Andrea Martignoni, coordinatore sindacale e operativo del settore InProprio Cna di Rimini, nel mancato ricambio generazionale, una piccola parte di responsabilità è da attribuire agli stessi artigiani, che hanno protetto troppo gelosamente la propria professionalità, senza preoccuparsi di passare il testimone alle nuove leve.
Qualcuno però, ha insegnato l’utilizzo di mastice e cuoio al giovanissimo Christian Di Leo. Il 23enne, che non proviene da una famiglia di artigiani riparatori, ha scelto da solo il duro e affascinante mestiere del calzolaio, convinto che il lavoro, coi tempi che corrono e la poca concorrenza sul mercato, non sarebbe mancato. Aveva ragione!
Aiuto, mi si è scucito un bottone
Anche Simona Silvegni, da quando ha aperto la sua piccola bottega delle riparazioni, lavora a spron battuto.
“C’è un grande bisogno di sarte, dal momento che le giovani donne non conoscono più l’arte del rammendo, nemmeno quello più semplice” afferma la sarta. Come darle torto, quando i servizi più richiesti sono proprio orli e cambio di cerniere, lavoretti che un tempo le nostre nonne svolgevano senza alcuna difficoltà! Certamente anche in questo settore la crisi ha avuto il suo peso, portando la gente a ignorare le vetrine e a riparare il vecchio guardaroba.
“Lavoro quasi esclusivamente su abiti di buona fattura che conviene conservare vista la difficoltà sempre maggiore di trovare merce di qualità – precisa Simona – e per i quali è necessaria una mano esperta e competente”.
Una cliente, spiega perché ha fatto sostituire il colletto rovinato ad una sua camicia.
“Non volevo buttarla via; è comoda, di ottima stoffa, e anche se può sembrare ridicolo, ci sono affezionata. Certo, potrei comprarne una nuova, ma per spendere poco, dovrei ripiegare su un acquisto scadente che poi non varrebbe la pena risistemare”.
Viola Martinini