Pensare e scegliere il proprio futuro. Non lasciarsi attraversare dagli eventi, da scelte fatte da altri, ma essere protagonisti. Entrare nel circuito del fare. Il messaggio che hanno voluto mandare i cattolici della città a coloro che hanno in mano lo scettro decisionale è chiaro: noi ci siamo e vogliamo prendere parte alla costruzione del futuro di Rimini, che è il nostro futuro e il futuro di una comunità intera.
Questa grande “comunità” a stare all’angolo non ci pensa nemmeno e colta al volo l’opportunità di poter dire la sua ha elaborato un documento “strategico” che sia voce da ascoltare quando il Comune di Rimini stilerà il suo Piano Strategico.
Un segno forte, di presenza e di consapevolezza dell’importanza del futuro nella vita della città e dei suoi cittadini, di chi la vive ogni giorno, esprimendo bisogni, aspirazioni, priorità.
Sono 13 le associazioni cattoliche che hanno lavorato fianco a fianco in otto mesi di incontri, discussioni, sunti e relazioni. Fanno parte del “Forum Riminiventure” (56 associazioni in tutto) dove si è scelto di adottare un metodo che dal “basso” lasciasse passare le idee e le intuizioni di una società civile che si è resa disponibile e sentita responsabile di quello che “sarà” questo territorio.
Un città dalle nuove logiche
A presiedere il Forum, Maurizio Ermeti, che nel presentare le linee guida e le indicazioni generali scaturite dal lavoro del grande gruppo, ha posto l’accento sull’importanza del distinguersi dagli intenti e dai messaggi che altri piani strategici, realizzati in giro per l’Italia e l’Europa, hanno voluto lanciare. “Abbiamo osservato bene quello che ci circondava e abbiamo deciso di andare in una direzione diversa. – commenta Ermeti – Un modello di sviluppo alternativo che non si basi sulla crescita tout court ma che rifletta anche su altre cose. Con la speranza che Rimini possa diventare un piccolo esempio, una piccola eccellenza, per altre città che si apprestano a pensare al loro futuro”.
Ma quali sono queste logiche nuove?
Mettere l’uomo al centro, in primis. Puntare sul bello dell’esistente, trovare un orizzonte di senso che sia coesione, civiltà della convivenza, cultura, in poche parole che sia vita vera.
Per “una città che non sia solamente vivibile ma anche viva”. È questo il nocciolo della questione. Bene lo spiega il vescovo Francesco Lambiasi che in un’intervista rilasciata al Forum parla dell’importanza simbolica e reale di questa iniziativa. “Mi sembra un metodo molto importante – dice – un metodo comunitario nel senso di ciò che i cittadini hanno in comune, come patrimonio di valori, di ideali, di storia e di cultura capace di diventare energia per il futuro. La massa del passato deve tramutarsi in energia per il futuro. Una delle componenti vive della città è la presenza dei cattolici, che hanno avuto sempre una parte significativa nella realizzazione del bene comune e nella costruzione di una città aperta, unita e vivibile”.
Dare un’anima alla città, quindi. Sempre il vescovo in occasione del Discorso alla città – solennità del Corpus Domini (22, maggio 2008) ricordava alcune criticità ed emergenze che non potevano più essere trascurate: “Di fronte al disorientamento della crisi di una visione culturale e spirituale, crisi di una concezione antropologica e conseguentemente di evidenze etiche, i cristiani si sentono chiamati a ritrovare il loro centro di gravità, principio e meta di una storia nuova”.
Tre presupposti
Cosa deve avere, allora, il Piano Strategico per considerarsi tale? Otto mesi di lavoro, più menti a confronto hanno portato alla formulazione di tre presupposti da porre alla base del cambiamento della città. Rimini deve quindi concentrarsi almeno su tre cose:
Cultura, lottando contro l’appiattimento per costruire un orizzonte di senso. Investire più risorse nell’educazione che sia educazione all’interiorità, alla libertà e alla responsabilità ma anche dal dono di sé e alla libertà.
Attenzione alla persona, per creare un individuo che sia collocato in una società, in una rete di relazione con gli altri.
Infine rivalutare le bellezze esistenti, dare armonia al rapporto tra cose e persone, pensare alla città con la sua architettura, il patrimonio artistico, la storia.
Problemi reali, criticità esistenti che a turno sono state snocciolate – nel corso della presentazione del documento strategico – dagli esponenti delle aggregazioni laicali cattoliche riminesi.
“Non c’è programma che non si debba fondare su principi reali che siano guida all’azione”. A parlare è Michele La Rosa, docente di Sociologia all’Università di Bologna che riconosce nel ritorno alla comunità e al suo senso, al perseguimento del bene comune due buoni punti dai quali partire: “tengo molto all’idea del bene comune, al ritenere che gli obiettivi personali possano essere raggiunti anche insieme agli altri, lontano da logiche prettamente individualiste”. Riflette poi sulla mercificazione del lavoro, il professor La Rosa, e sulla tendenza che si è venuta a sviluppare negli ultimi 15-20 anni, con la provvisorietà e la precarietà di un sistema che oltre a danneggiare l’individuo danneggia anche la società.
Intesa sui grandi temi
Natalino Valentini, responsabile del Servizio Diocesano per il Progetto Culturale, che ha avuto il compito di raccogliere le voci del mondo cattolico e di darne sostanza, conferma che su alcuni punti fondamentali non c’è stata discordanza: “Il documento ha tante sfaccettature – puntualizza – ma ha un assunto di fondo: la grave crisi dentro cui ci troviamo è una crisi di senso, crisi di valori, crisi di cultura. Per questo motivo il primo antidoto pensiamo possa essere quello di lavorare sulla cultura come risorsa. «Senza cultura non c’è umanità». A dirlo è stato Giovanni Paolo II, dobbiamo seguire questa strada”.
E poi l’emergenza casa, la questione dell’immigrazione, la divisione della città in sopra/sotto la ferrovia, la rivalutazione delle bellezze esistenti, il “pensare” a un turismo diverso, la necessità di non fare della casa un dormitorio e non creare quartieri privi di vita, tra le questioni affrontate.
Le proposte nel dettaglio
Si legge nel documento:
Ripartire dalla propria identità e memoria: cominciamo ricostruendo la nostra identità, riappropriandoci della memoria del nostro passato (artistico, culturale, storico, religioso) e ricostruendo luoghi simbolo dell’incontro tra cultura e città (teatro, auditorium ecc).
Recuperare la vocazione internazionale: (adriatica in primis) della nostra città, rivolgendo attenzione anche a livello istituzionale alla cultura dell’oriente bizantino e del mondo slavo, da cui sono giunti a Rimini i primi testimoni della cultura e della fede.
Ripensare nuovi modelli turistici: fare in modo che l’offerta turistica sia sempre più diversificata, che i vecchi e i nuovi modelli turistici trovino un loro comune denominatore nel turismo del ben-essere, a forte base relazionale (tornando a puntare su un turismo che dia importanza alla qualità delle relazioni personali oltre che agli aspetti strutturali) e culturale con una programmazione che copra tutti i mesi dell’anno, che valorizzi anche le risorse dell’entroterra. Per questo occorre ristrutturare l’offerta ricettiva, ormai obsoleta e avviare le opere infrastrutturali di cui si sta parlando da tempo: metropolitana di costa, recupero delle ex colonie, palazzo dei congressi, sistema dei trasporti.
Università, ricerca, formazione: consolidare il polo accademico, rafforzando l’area dell’educazione e della formazione oltre che del turismo e della moda. Far diventare il polo di Rimini un punto di riferimento del Mediterraneo nell’ambito della ricerca applicata al turismo. Si ritengono necessari per questo investimenti a medio e lungo termine oltre che reti di intese e collaborazioni scientifiche.
Cultura della sussidiarietà e lavoro: potenziare i servizi (trasporti, asili, scuole, servizi alle persone non autosufficienti, con attenzione ai soggetti a rischio di emarginazione), in modo che siano efficaci e accessibili a tutti senza esclusione. Ottimizzare l’impiego delle risorse costituendo network e puntando sulla cultura della sussidiarietà. Avviare una politica della casa considerandola come un bene sociale primario – indispensabile alla salvaguardia dei valori della famiglia – e non semplicemente un bene rifugio o un oggetto di mercato. Va dedicata quindi una nuova e diversa attenzione alle coppie giovani, alle famiglie monoreddito, agli immigrati (facendo in modo che non si creino ghetti, ingestibili anche dal punto di vista dell’ordine pubblico).
Promuovere la cultura del lavoro, riconosciuto non solo come risorsa economica, ma come possibilità di valorizzare le proprie capacità, strumento d’integrazione sociale, servizio alla comunità. Lottare contro la piaga del lavoro nero, salvaguardando poi la possibilità d’inserimento anche dei soggetti più vulnerabili e a rischio di marginalità sociale. Guardare con interesse, infine, agli antichi mestieri e in particolare a quelli legati alla marineria, vedi il cantiere navale, un tempo risorsa importante che oggi è completamente inutilizzato.
Ripensare alla governance cittadina: ripensare al “sistema di governo” da farsi attraverso una democrazia partecipata: per far sì che la Provincia non usurpi le funzioni dei Comuni, ma sia il soggetto titolare del coordinamento dei Comuni, dei servizi statali, degli interventi della Regione; che il consiglio comunale torni ad essere luogo dove si decidono gli “indirizzi” politici e non semplicemente il luogo dove si ratificano scelte fatte in contesti extraistituzionali; che i consigli di quartiere tornino ad essere ambiti nei quali affrontare le specifiche problematiche di un territorio.
Il sistema produttivo: puntare ad una economia reale, basata sulle dinamiche della produzione reddito – occupazione, contrastando la cultura della rendita di tipo finanziario, immobiliare, ecc. Vanno previsti nuovi distretti industriali e/o artigianali a livello sovra comunale, per mettere a disposizione delle imprese aree dove stabilire o allargare gli insediamenti produttivi, garantendo servizi, vie di comunicazione, infrastrutture.
Il terzo settore: valorizzare il terzo settore, quello della cooperazione, dell’associazionismo, del volontariato. Va riconosciuta alla cooperazione la grande capacità di incontrare i bisogni dei cittadini e di impiegare le persone che non trovano spazio nel mondo tradizionale della produzione, per questo occorre addivenire al pieno riconoscimento da parte della Pubblica amministrazione delle cooperative come interlocutrici dirette, evitando il ricorso ai subappalti.
I lavori del Forum ripartiranno a settembre. In cantiere, infatti, l’idea di realizzare dei progetti pastorali, con l’intento di tradurre il progetto in esperienze pastorali. In ottobre poi è previsto un convegno cittadino sul futuro della città.
Angela De Rubeis